Leggende Orientali – IL RE DI TORIJAMA

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Leggenda dal Giappone

Tradotta da Dario55

IL RE DI TORIJAMA

Molti anni fa viveva un daimio di nome Tarao. Il suo castello era a Osaki, nella provincia di Osumi, oggi la parte orientale della prefettura di Kagoshima. Tra gli uomini del suo seguito c’era un favorito e fedele servitore di nome Kume Shuzen. Kume era stato per lungo tempo amministratore delle terre di Tarao e in quel periodo aveva trattato personalmente tutti gli affari del padrone.
Un giorno Kume fu mandato alla capitale, Kyoto, per trattare un affare per conto del padrone, quando il daimio Toshiro di Hyga venne in lite con il daimio di Osumi su una questione di confine, e poiché Kume non era presente per consigliare il padrone, che era una persona impulsiva, i due clan si scontrarono ai piedi del monte Kitamata, dove Tarao di Osumi fu ucciso insieme a molti dei suoi uomini. Erano stati duramente sconfitti. I superstiti si ritirarono nel castello del loro signore a Osaki, ma il nemico li inseguì e li sconfisse di nuovo, impadronendosi del castello.
Naturalmente furono mandati messaggeri per richiamare indietro Kume, ma Kume decise che non sarebbe stata cosa onorevole e che bisognava riunire i samurai superstiti e combattere nuovamente in nome del padrone morto. Disgraziatamente solo una cinquantina di uomini risposero alla sua chiamata. Costoro, insieme a Kume, si nascosero tra le montagne con l’intenzione di attendere fino a quando fossero riusciti ad arruolarne altri. Ma una delle spie di Toshiro li scoprì, e tutti tranne Kume furono fatti prigionieri.
Poiché era braccato da vicino, Kume si teneva nascosto durante il giorno e di notte procedeva verso il mare. Dopo tre giorni raggiunse Hizaki e qui, procuratosi tutte le provviste che poteva trasportare, si nascose in attesa che arrivasse un’occasione di salire su una nave col favore delle tenebre, nella speranza di confondere gli inseguitori.
Kume non era un marinaio, tanto che raramente era salito su una nave e sempre come passeggero. Trovare un’imbarcazione non fu difficile. La spinse in mare e si fece trasportare, poiché non sapeva usare i remi e non capiva niente di vele. Per sua fortuna Hizaki è un lungo promontorio sulla costa di sudest di fronte all’Oceano Pacifico, per cui non gli fu difficile procedere, avendo il vento e la marea favorevoli; inoltre c’era una forte corrente che si muoveva costantemente verso le Loochoo. A Kume importava abbastanza poco dove stesse andando e, anche se glie ne fosse importato, non avrebbe potuto fare molto, perché, malgrado sulla terraferma avesse un ottimo senso dell’orientamento, non appena la costa fu fuori vista, fu perduto. Tutto quello che sapeva era che dove il sole sorgeva non c’era terra che potesse raggiungere, che la Cina si trovava nella direzione del tramonto e a sud c’erano delle isole in cui si riteneva vivessero dei selvaggi. Così Kume si lasciava trasportare non si sa dove, sdraiato sul fondo della barca e senza economizzare le provviste, tanto che alla fine del secondo giorno era rimasto senza acqua e cominciò a soffrire molto la sete.
Verso la sera del quinto giorno Kume giaceva mezzo addormentato sul fondo della barca. Improvvisamente sentì un urto.
“Che c’è, sbatte!”, disse tra sé nella sua lingua nativa e, alzandosi a sedere, si accorse che era arrivato a un’isola rocciosa. Non esitò a saltare giù dalla barca e a portarla il più lontano possibile dal mare. La prima cosa che fece fu di cercare dell’acqua per placare la sete. Mentre camminava lungo la spiaggia rocciosa alla ricerca di una sorgente, Kume notò che l’isola non era disabitata, perché c’erano migliaia di uccelli marini appollaiati sugli scogli che cercavano cibo lungo la spiaggia e volavano sull’acqua; altri stavano covando. Kume, guardando gli uccelli, pensò che probabilmente non avrebbe patito la fame, visto quanti ne stavano nascendo, e inoltre notò che c’era pesce in abbondanza, perché gli uccelli sula erano letteralmente gonfi di iwashi [sardine] che facevano ribollire la superficie calma del mare cercando di sfuggire ai pesci più grossi che li inseguivano dal fondo. Moltitudini di pesci volanti arrivavano quasi alla riva, inseguite dalla splendida albacora, il che dimostrava chiaramente che i pescatori non frequentavano quel tratto di mare. C’era una quantità incredibile di molluschi nelle pozze tra i coralli, e tra questi in abbondanza le piccole ostriche perlifere, che Kume ben conosceva nel suo paese.
Su quell’isola, o meglio sulla spiaggia, non c’era sabbia. Tutto sembrava essere fatto di formazioni coralline, tranne una sottile sostanza rossiccia che ricopriva tutto e su cui cresceva una bassa boscaglia di alberi carichi di frutti che Kume assaggiò e trovò ottimi. Non ci furono problemi a trovare l’acqua: c’erano parecchie sorgenti che scorrevano verso la spiaggia e provenivano dalla boscaglia.
Kume tornò alla barca per assicurarsi che fosse al sicuro e, avendo trovato una buona insenatura, la spostò lì. Poi, mangiato che ebbe un bel po’ di frutti e di pesce e alghe, si sdraiò per dormire e pensare al suo padrone morto, chiedendosi come avrebbe potuto finalmente vendicarsi sul daimio Toshiro di Hyuga.
Quando spuntò il giorno, Kume fu non poco meravigliato nel vedere una decina di persone che, pensò in un primo momento, stavano dormendo. Ma quando fu un po’ più sveglio, si accorse che erano tartarughe, e si affrettò alla spiaggia e ne girò una, ma poi, ricordandosi che nell’isola c’era una quantità enorme di cibo senza dover uccidere un animale tanto onorevole, la lasciò andare. “Forse”, pensò, “la mia gentilezza potrebbe salvarmi come è successo a Urashima. Anzi, queste tartarughe potrebbero essere messaggeri o servitori del palazzo del Re del Mare!”
Kume poi decise di imparare a remare e a veleggiare. Cominciò di prima mattina e presto riuscì a padroneggiare abbastanza bene l’arte di usare l’enorme remo che i giapponesi antichi e moderni sono soliti usare. Nel pomeriggio esplorò la parte più alta dell’isola, ma non era abbastanza elevata per consentirgli di scorgere terra, malgrado avesse creduto di poter vedere quella debole linea di blu all’orizzonte che segnala la presenza di una terra lontana.
Comunque per il momento era al sicuro: aveva cibo in abbondanza e acqua, anche se gli uccelli gli davano abbastanza fastidio, perché sembrava che non si comportassero come ci si sarebbe aspettato Sembrava che ci fosse qualcosa di misterioso nel modo in cui si appollaiavano e lo osservavano. Questo non gli piaceva e spesso tirava loro una pietra, ma non otteneva un grande effetto: anzi, sembrava solo che osservassero con più serietà.
Benché Kume non fosse un marinaio era un nuotatore abbastanza esperto, come lo sono la maggior parte dei giapponesi che vivono nelle province che si affacciano sul mare, e aveva una certa abilità nel tuffarsi nell’acqua bassa e scendere fino a una profondità di tre fathom giapponesi, circa cinque metri e mezzo. E così Kume passava tutto il tempo in cui non faceva pratica sulla barca tuffandosi per raccogliere alghe; ben presto scoprì che c’era una enorme quantità di ostriche perlifere che contenevano perle bellissime e, dopo averne raccolte una sessantina di tutte le dimensioni, tagliò una manica del suo vestito e fabbricò un sacchetto, deciso a riempirlo di perle. Un giorno, mentre Kume era intento a tuffarsi alla ricerca di perle e molluschi, si accorse che guardando nelle cavità degli scogli poteva trovare perle cadute dalle ostriche morte e rotte; a volte erano come ghiaia, e lui le estraeva dalle cavità a manciate intere. Alcune erano scolorite, ma Kume le riconosceva dalla rotondità della forma e sfregandole con sabbia o terra le faceva tornare al loro aspetto di perle. E così lavorava con rinnovato vigore, nella speranza di poter mettere insieme denaro sufficiente per poter finalmente vendicare la morte del suo padrone.
Un giorno, circa sei settimane dopo aver preso terra sull’isola, vide una vela lontana. Per tutto il giorno osservò con attenzione, ma sembrava che non si allontanasse né si avvicinasse, per cui Kume arrivò alla conclusione che doveva trattarsi della vela di una barca da pesca, perché per due volte da quando si era messo a osservare si era levato abbastanza vento per poter prendere il largo, se avesse voluto.
“Di sicuro c’è terra da qualche parte oltre quella barca: altrimenti non sarebbe rimasta là per mezza giornata. Visto che ora so manovrare le vele e i remi, domani partirò per andare a vedere. Non mi aspetto di trovare i miei compatrioti, ma potrei incontrare dei cinesi che potrebbero dimostrarsi amici, e se troverò i selvaggi del sud, con la mia buona spada giapponese non avrò paura di loro!”
La mattina seguente Kume rifornì la barca di frutta, acqua, molluschi e uova, e legatosi addosso il sacchetto di perle, puntò la nave in direzione sudovest. C’era un po’ di vento, e la barca procedeva lentamente, ma Kume manovrò regolarmente tutta la notte, il che era naturale, considerando quel poco che sapeva. Non osava mettersi a dormire e perse completamente la cognizione della direzione da cui era partito. Fu così che, quando venne mattina e sorse il sole a babordo, si ritrovò a non più di quattro miglia da un isola che si trovava giusto davanti a lui. Con una certa euforia per il suo primo successo nella navigazione Kume afferrò i remi e spinse avanti la barca. Quando raggiunse la spiaggia ricevette un’accoglienza tutt’altro che piacevole. Sulla spiaggia c’erano almeno cento selvaggi affamati con lance e bastoni: ma che volete che fosse per un samurai giapponese? Cinquanta di loro furono messi fuori combattimento senza che potessero fargli un graffio, perché Kume era molto pratico nell’arte della difesa che il suo addestramento militare gli aveva fornito, e i trucchi del jujitsu gli erano familiari.
Il resto dei nemici fu preso dal terrore e cominciò a correre. Kume ne catturò uno e lo interrogò cercando di sapere il nome dell’isola e che genere di gente fosse quella. A segni spiegò che era un giapponese e non era assolutamente un nemico, ma anzi voleva essere loro amico e, come potevano vedere, era solo. I nativi, molto impressionati dal coraggio di Kume e ben contenti che non volesse riprendere le ostilità, abbassarono le punte delle lance e si avvicinarono Kume, che a sua volta rimise la spada nel fodero e si fece avanti per esaminare i cinquanta uomini che aveva ucciso. Undici di loro erano stati abbattuti da abili mosse di jujitsu e sembravano morti, ma Kume in vari modi riuscì a farli rinvenire con l’arte a lui ben nota chiamata kwatsu [respirazione artificiale], che in Giappone si praticava da centinaia di anni in collegamento con alcune mosse segrete del jujitsu di cui si diceva che fossero mortali: se non era presente qualcuno esperto nell’arte dello kwatsu, la morte sarebbe sopraggiunta se fossero passate più di due ore senza essere soccorsi. Kume rianimò nove dei nemici caduti, e questa fu considerata un’azione prodigiosa che gli fruttò il massimo rispetto. Altri due erano morti. Tutti gli altri avevano ferite che provvide a medicare.
Ora che la pace era fatta, Kume fu accompagnato dal capo del villaggio e gli fu assegnata una capanna. Quella gente, pensò Kume, era gentile e simpatica. Gli fu data una moglie, e Kume si adattò alla vita sull’isola e ne apprese la lingua, che aveva molte somiglianze con la sua.
Le coltivazioni principali erano canna da zucchero e patate dolci, oltre naturalmente al riso sulle colline e dovunque ci fosse acqua sufficiente per terrazzare. Tuttavia la pesca costituiva l’attività principale. Quattro o cinque volte all’anno arrivava una giunca che caricava i prodotti degli isolani e li scambiava con gli oggetti che volevano, come barre di ferro e stoffa.

Kume uccide l’aquila a Torijima

Dopo tre mesi sull’isola Kume era in grado di parlare un po’ la lingua e riuscì a raccontare le sue avventure; inoltre aveva spiegato che l’isola da cui proveniva – l’aveva chiamata Torijima, l’isola degli uccelli, per via della grande quantità di uccelli marini – era molto migliore della loro dal punto di vista dei prodotti del mare.
«Amici» disse Kume «accompagnatemi fin là e vedrete. Vi ho mostrato le mie perle. Io non sono un abile tuffatore, ma per chi lo è ce ne sono molte più di quante se ne possano desiderare, e inoltre lumache di mare e oloturie della migliore qualità».
«Lo sai che l’isola che tu chiami “Tori” è stregata?», gli chiesero. «È impossibile andarci, perché è abitata da un gigantesco uccello che vi si reca due volte all’anno e uccide tutti coloro che hanno osato sbarcarvi. Non è possibile che tu sia stato là dove dici, altrimenti non saresti sopravvissuto un solo giorno».
«Ebbene, amici miei», disse Kume, «non ho certo paura di un uccello e, dal momento che siete stati tanto amabili e gentili con me, sarò ben felice di mostrarvi la mia Torijima, perché, pur essendo piccola, è migliore della vostra isola per tutto ciò che si trova nel mare, e ve lo dimostrerò, se verrete con me. Chi di voi vuole accompagnarmi?»
Alla fine trenta uomini si offrirono e partirono con tre imbarcazioni.
Salparono dunque la sera seguente e, dal momento che gli abitanti delle Loochoo conoscevano molto bene la rotta, allo spuntar dell’alba raggiunsero la spiaggia di Torijima.
La barca di Kume fu la prima ad arrivare.
Benché lo avessero messo in guardia dal grande uccello che doveva essere lontano dall’isola quando lui vi aveva abitato, Kume sbarcò da solo e stava procedendo lungo la spiaggia quando un’enorme aquila con un corpo più grande del suo scese in picchiata su di lui e cominciò a combattere. Kume, da quel guerriero giapponese che era, estrasse subito la spada e menò un fendente che tagliò il mostro in due parti.
Da quel giorno Torijima è stata colonizzata dai pescatori e ha fornito più perle, corallo e pesce dell’altra, chiamata Kumijima e a volte Shuzen shima; e Kume Shuzen fu acclamato re di entrambe le isole. Kume non fece più ritorno in Giappone per vendicare la vendetta del suo padrone, il daimio Tarao. Si trovava meglio di quanto non si fosse mai trovato priva e visse una vita felice sulle due selvagge isole di Loochoo, che non erano ancora cadute sotto la dominazione cinese perché erano troppo piccole per essere prese in considerazione.
Dopo una cinquantina d’anni Kume morì e fu seppellito nell’isola di Kumijima. Si dice che coloro che visiteranno le Loochoo e transiteranno al largo di Kumijima noteranno dal mare un monumento eretto in memoria di Kume Shuzen.

FINE

Testo originale e illustrazione in: http://www.sacred-texts.com/shi/atfj/atfj30.htm

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