Leggende Orientali – LA STORIA DELLA PRINCIPESSA HASE

0
0 0 Voti
Vota l'opera (solo registrati)

Leggenda dal Giappone

Tradotta da Dario55

LA STORIA DELLA PRINCIPESSA HASE

In tempi remotissimi viveva a Nara, l’antica capitale del Giappone, un saggio Ministro di Stato che si chiamava principe Toyonari Fujiwara. La moglie era una donna nobile, buona e bella che si chiamava principessa Murasaki [Violetta]. Erano stati sposati dalle loro famiglie, secondo le usanze giapponesi, quando erano giovanissimi e avevano vissuto felici insieme fin da quel momento. Un motivo per lamentarsi però ce l’avevano, un motivo che causava loro molte sofferenze: in tutti gli anni che avevano passato insieme non avevano mai avuto figli. Questo li rendeva molto infelici, poiché entrambi desideravano avere un erede che crescesse per rallegrare la loro vecchiaia, continuasse il nome della famiglia e compisse i riti degli antenati quando loro sarebbero morti.
Il principe e la sua adorata moglie, dopo essersi a lungo consultati e aver pensato molto, decisero di fare un pellegrinaggio al tempio di Hase-no-Kwannon [la Dea della grazia di Hase], perché credevano (come nella loro religione era una bella tradizione credere) che la Madre della Misericordia, Kwannon, rispondesse alle preghiere dei mortali accordando loro ciò che desideravano. Erano certi che dopo tutti quegli anni di preghiera avrebbero ottenuto un delizioso bambino in risposta al loro speciale pellegrinaggio. E questa era la più grande attesa della loro vita. Qualunque cosa avessero potuto fare, l’avrebbero fatta, purché l’invocazione del loro cuore non rimanesse inascoltata.
E fu così che il principe Toyonari e la moglie giunsero al tempio di Kwannon a Hase e vi si trattennero per molto tempo, offrendo incenso ogni giorno e pregando Kwannon, la Madre Celeste, di esaudire il desiderio della loro vita. E le preghiere furono esaudite.
La principessa Murasaki diede alla luce una figlia, e la gioia del suo cuore fu immensa.
Quando la presentò al marito, decisero di comune accordo di chiamarla Hase-Hime, cioè “Principessa di Hase”, perché l’avevano ricevuta in dono proprio in quel luogo.
La allevarono con la massima cura e tenerezza, e la bambina crebbe forte e bella.
Quando la bambina ebbe cinque anni, la mamma si ammalò gravemente e i dottori e le medicine non riuscirono a salvarla.
Poco prima di morire chiamò vicino a sé la figlia e scuotendole dolcemente la mano le disse:
«Hase-Hime, lo sai che la tua mamma non vivrà più a lungo? Ma anche quando sarò morta, tu dovrai crescere e diventare una brava ragazza. Non dovrai mai dare preoccupazioni alla tua nutrice o a qualcuno della tua famiglia. Può darsi che tuo padre si risposi e che un’altra persona verrà al posto di tua madre. Se ciò accadrà, non soffrire per me, ma pensa alla seconda moglie di tuo padre come se fosse la tua vera madre e sii sempre obbediente come una figlia a lei e a tuo padre. Ricordati che ti abbiamo educato per essere sottomessa a coloro che sono superiori a te e per essere gentile con coloro che ti sono inferiori. Non dimenticartelo. Muoio nella speranza che diventerai un modello per le altre donne».
Hase-Hime ascoltò con atteggiamento rispettoso le parole della madre e le promise di fare tutto quello che aveva detto.
C’è un proverbio che dice: “L’anima è un ramo, e tutti i rami si diramano ovunque”. E fu così che Hase-Hime crebbe come la madre aveva desiderato, una piccola e obbediente principessina, ancora troppo piccola per rendersi conto di quanto grande fosse la perdita della mamma.
Poco tempo dopo la morte della prima moglie, il principe Toyonari si risposò con una principessa di nobile stirpe, la principessa Terute.
I loro caratteri purtroppo erano molto diversi: rispetto alla buona e saggia principessa Murasaki, questa donna aveva un cuore duro e cattivo. Non provò il benché minimo amore per la figliastra e spesso si comportò in modo molto cattivo e spietato nei suoi confronti, giustificandosi dicendo: “Non è mia figlia!”
Ma Hase-Hime sopportò pazientemente tutte le sgarberie, fece educatamente da serva alla matrigna e le obbedì sempre, senza darle alcun disturbo e preoccupazione, come era stata educata a fare dalla sua vera madre. La signora Terute non avrebbe potuto trovare il minimo motivo di lamentarsi nei suoi confronti.
La principessina era molto laboriosa, e ciò che le piaceva studiare di più erano la musica e la poesia. Le piaceva passare ogni giorno qualche ora facendo pratica, e il padre era il miglior maestro che avrebbe potuto trovare per insegnarle il koto [l’arpa giapponese], la scrittura e la poesia.
Quando ebbe dodici anni, fu in grado di suonare così bene che lei e la matrigna furono convocate al Palazzo per suonare di fronte all’Imperatore.
Era la Festa dei fiori di ciliegio, e alla corte fervevano grandi preparativi. L’Imperatore era letteralmente sommerso dal piacere che quel periodo gli procurava e ordinò che la principessina Hase avrebbe dovuto suonare davanti a lui a Kyoto e che la madre, la principessa Terute, avrebbe dovuto accompagnarla con il flauto.
L’Imperatore stava seduto su un palco sollevato di fronte al quale pendeva un sipario di bambù finemente intagliato e decorato da fiocchi purpurei. In questo modo sua maestà poteva vedere tutto senza essere vista, dal momento che nessuna persona di bassa stirpe aveva il permesso di vedere il suo sacro volto.
Hase-Hime, a dispetto della sua giovane età, era una musicista esperta e aveva spesso meravigliato i suoi maestri con la sua straordinaria memoria e il suo talento eccezionale. In quella importante occasione suonò molto bene. Ma la matrigna, la principessa Terute, che era una donna pigra e non si era mai preoccupata di esercitarsi giorno dopo giorno, sbagliò l’accompagnamento, tanto che a una delle dame di corte fu chiesto di sostituirla.
Era una cosa molto grave, e lei era terribilmente gelosa al pensiero di avere fallito mentre la sua figliastra aveva avuto successo. E, quel che era peggio, l’Imperatore fece mandare tanti bei doni alla principessina per ricompensarla di aver suonato così bene a palazzo.
C’era anche un altro motivo per cui la principessa Terute odiava la figliastra. La buona sorte le aveva concesso di avere un figlio, e nel più profondo del cuore continuava a ripetersi:
«Se non ci fosse Hase-Hime, mio figlio avrebbe tutto l’amore del padre».
E dal momento che non aveva mai imparato a controllarsi, lasciò che questo cattivo pensiero crescesse insieme al tremendo desiderio di togliere la vita ala figliastra.
Così un giorno si fece portare del veleno e avvelenò del vino dolce che mise in una brocca. In una brocca simile versò invece del vino buono.
Era la festa dei bambini, il 5 maggio, e Hase-Hime stava giocando con il suo fratellino. Tutti i giocattoli, che rappresentavano guerrieri ed eroi, erano sparsi un po’ dovunque e lei gli raccontava storie meravigliose su ciascuno di essi. Si stavano divertendo moltissimo e ridevano felici insieme ai servitori, quando la madre entrò con le due brocche di vino e dei dolci dall’aspetto delizioso.
«Siete così bravi e contenti» disse con un sorriso la cattiva principessa Terute «che vi ho portato un po’ di vino dolce come ricompensa, e qui ci sono dei buoni dolci per i miei bravi bambini».
E riempì due coppe, ciascuna da una delle due brocche.
Hase-Hime, che non si sognava nemmeno quale terribile parte la matrigna stava recitando, prese una delle coppe e diede al fratellastro quella che era stata riempita per lui.
La malvagia donna aveva segnato con cura la bottiglia avvelenata, ma mentre si recava nella camera era diventata sempre più nervosa e versando il vino, nella fretta aveva senza accorgersene dato la coppa con il veleno proprio a suo figlio. Stette per un bel po’ a guardare ansiosa la principessina, ma con suo sommo stupore nessun cambiamento avvenne nel viso della ragazza. Improvvisamente il bambino gridò e si gettò sul pavimento, piegato in due per il dolore. La madre si precipitò verso di lui e, prendendo la precauzione di rovesciare le due brocche di vino che aveva portato nella camera, lo sollevò. I servitori corsero a cercare il dottore, ma niente riuscì a salvare il bambino, che morì tra le braccia della madre.
A quei tempi i dottori non sapevano un gran che, e si ritenne che il vino avesse nauseato il bambino, provocandogli delle convulsioni che lo avevano fatto morire.
E così quella donna cattiva fu punita con la perdita del proprio figlio mentre aveva cercato di eliminare la figliastra. Ma invece di dare la colpa a se stessa, cominciò a odiare Hase-Hime più che mai nell’amarezza e infelicità del suo cuore e a cercare con ansia un’occasione per farle del male, ma il tempo passava e l’occasione non veniva.
Quando Hase-Hime ebbe tredici anni, era già considerata una poetessa di un certo talento. Nell’antico Giappone questa era una dote molto apprezzata nelle donne ed era tenuta in altissima considerazione.
A Nara era la stagione delle piogge, e ogni giorno dai dintorni arrivavano notizie di danni provocati dalle inondazioni. Il fiume Tatsuta, che scorreva nelle fondamenta del palazzo imperiale, era uscito dagli argini e il ruggito dei torrenti di acqua che si precipitavano lungo le sue strette sponde turbava a tal punto il riposo dell’Imperatore a ogni ora del giorno e della notte, che alla fine gli procurò un grave disturbo nervoso. Fu inviato un editto imperiale a tutti i templi buddisti, con l’ordine che i sacerdoti pregassero il cielo di far cessare il rumore della corrente. Ma tutto fu inutile.
Si sussurrava nei circoli di corte che la principessa Hase, figlia del principe Toyonari Fujiwara, secondo ministro di corte, era la più dotata poetessa del momento pur essendo così giovane, e i suoi maestri confermarono quella voce. Molto tempo prima una bella e dotata giovane poetessa aveva commosso i cieli pregando in versi e aveva fatto scendere la pioggia su una terra affamata per colpa della siccità. Questo narravano gli antichi biografi della poetessa Ono-no-Komachi. E se la principessa Hase avesse scritto una poesia e l’avesse offerta in preghiera, non sarebbe stato possibile che il rumore del fiume in piena cessasse e con esso il motivo della malattia dell’Imperatore?
Questi discorsi che si facevano a corte alla fine giunsero all’orecchio dello stesso Imperatore, che inviò a questo scopo un ordine al ministro principe Toyonari.
Davvero grandi furono il timore e la meraviglia di Hase-Hime quando il padre la fece chiamare e le disse cosa si chiedeva da lei. Era veramente un duro compito quello che gravava sulle sue giovani spalle: salvare la vita dell’Imperatore con il valore della sua poesia.
Infine venne il giorno e la poesia fu pronta. Era scritta su un foglio di carta intriso di polvere d’oro. Insieme al padre, ai servitori e ad alcuni funzionari della corte si avviò verso gli argini del torrente mugghiante e innalzando il cuore verso il cielo, lesse ad alta voce la poesia che aveva composto, tenendola tra le mani rivolta verso il cielo.
Tutti quelli che stavano lì intorno rimasero stupefatti: le acque smisero di ruggire e il fiume diventò silenzioso in risposta a quella preghiera. Dopodiché l’Imperatore riacquistò la salute.
Sua maestà fu grandemente compiaciuta e la fece convocare a palazzo, ricompensandola con il grado di Chinjo, ossia Luogotenente Generale. Da allora in poi fu chiamata Chinjo-Hime, cioè Principessa Luogotenente Generale, e fu rispettata e amata da tutti.
Solo una persona non si rallegrò del successo di Hase-Hime: la matrigna. Oltre a meditare sempre con tristezza sulla morte del figlio che aveva ucciso nel tentativo di avvelenare la figliastra, doveva anche subire l’umiliazione di vederla ascendere al potere e all’onore, segnati dal favore imperiale e dall’ammirazione di tutta la corte. L’invidia e la gelosia le bruciavano nel cuore come un incendio. Raccontò molte bugie al marito sul conto di Hase-Hime, ma senza risultato: lui non dava ascolto a nessuno dei suoi racconti e si limitava a dirle seccamente che di sicuro si era sbagliata.
Alla fine, approfittando del fatto che il marito era assente, ordinò a uno dei suoi vecchi servitori di portare l’innocente ragazza sui monti Hibari, la parte più selvaggia del paese, e qui giunti, di ucciderla. Inventò una terribile storia sulla piccola principessa e disse che l’unico modo per evitare che il disonore piombasse sulla famiglia era di ucciderla.
Katoda, il servitore, era legato all’obbligo di obbedire alla padrona. In ogni caso si rese conto che in assenza del padre della ragazza il comportamento più saggio sarebbe stato quello di fingere obbedienza, e così mise Hase-Hime in un palanchino e la scortò fino al posto più solitario che poté trovare in quel distretto selvaggio. La povera ragazza sapeva che sarebbe stato inutile protestare con la cattiva matrigna per essere mandata via in un modo così strano e fece come le veniva ordinato.
Ma il vecchio servitore sapeva che la giovane principessa era del tutto innocente riguardo a tutto quello che la matrigna aveva inventato per giustificare i suoi ordini vergognosi e decise di salvarle la vita. Tuttavia, se non la uccideva, non poteva far ritorno dalla sua crudele padrona, perciò decise di starsene lontano in quella terra solitaria. Con l’aiuto di alcuni contadini costruì in breve tempo una casetta e, dopo che ebbe fatto venire in segreto la moglie, quelle due brave persone fecero tutto ciò che era in loro potere per prendersi cura della disgraziata principessa. Lei, a sua volta, confidava sempre in suo padre, sapendo che non appena fosse tornato a casa e avesse scoperto la sua assenza, si sarebbe messo alla sua ricerca.
Il principe Toyonari dopo qualche settimana tornò a casa, e la moglie gli raccontò che Hime aveva fatto qualcosa di molto brutto ed era scappata via per paura di essere punita. Il principe quasi si ammalò per l’ansia; tutti in casa gli dicevano la stessa cosa: Hase-Hime era improvvisamente scomparsa, nessuno di loro sapeva perché o dove. Per timore di uno scandalo mise tutto a tacere e cercò dovunque gli venisse in mente, ma senza risultato.

Il principe Toyonari ritrova la figlia Hase Hime

Un giorno, nel tentativo di dimenticare la sua tremenda preoccupazione, radunò tutti i suoi uomini e disse loro di prepararsi per andare a caccia alcuni giorni sulle montagne. Presto furono pronti e a cavallo in attesa del loro padrone. Questi cavalcò senza sosta e velocemente fino al distretto dei monti Hibari, seguito dai suoi. Ben presto si trovò lontano da ogni persona e alla fine giunse in una stretta e pittoresca valle. Guardandosi attorno e ammirando il paesaggio, notò una casetta su uno dei colli vicini e subito dopo udì una bella e limpida voce che leggeva forte. Preso dalla curiosità di sapere chi studiasse con tanta diligenza in un luogo cosi solitario, smontò da cavallo e lo affidò al suo stalliere, salì lungo il fianco della collina e si avvicinò alla casetta. Più si avvicinava, più cresceva la sua sorpresa, perché riusciva a vedere che la lettrice era una bella ragazza. La casetta era completamente aperta e lei sedeva guardando il panorama.
Ascoltando con attenzione, Toyonari sentì che stava leggendo le scritture buddiste con grande devozione. Sempre più incuriosito, si affrettò verso il piccolo cancello, entrò nel giardino e alzando lo sguardo vide la sua figlia perduta Hase-Hime. Lei era così concentrata su quello che stava guardando, che non udì né sentì il padre finché non parlò:
«Hase-Hime!» esclamò. «Sei tu, la mia Hase-Hime!»
Lei, colta di sorpresa, riuscì a malapena a realizzare che era il suo caro padre a chiamarla, e per un attimo non le riuscì più di parlare o di muoversi.
«Padre, padre! Sei proprio tu! Oh, padre mio!», fu tutto quello che riuscì a dire, e correndo verso di lui gli afferrò la manica e vi affondò il viso coperto di lacrime.
Il padre le accarezzò i capelli scuri, chiedendole con dolcezza di raccontargli tutto quello che era accaduto, ma lei continuava a piangere e lui a chiedersi se in realtà non stesse sognando.
Allora il vecchio servo fedele Katoda uscì e inchinandosi fino a terra davanti al padrone, sciorinò la lunga storia di ingiustizia e gli raccontò tutto quello che era accaduto e il motivo per cui aveva ritrovato la figlia in un luogo selvaggio e solitario come quello con due soli vecchi servitori a prendersi cura di lei.
Lo stupore e l’indignazione del principe non conobbero più freni. Interruppe la caccia immediatamente e corse verso casa con la figlia. Uno della compagnia lo precedette al galoppo per comunicare alla gente di casa la lieta notizia. La matrigna, ascoltando cosa era successo e temendo di incontrare il marito ora che la sua malvagità era stata scoperta, fuggì dalla casa e fece ritorno in disgrazia al tetto paterno, e nessuno sentì più parlare di lei.
Il vecchio servitore Katoda fu ricompensato con l’altissima promozione a servitore personale del padrone e visse felice fino alla fine dei suoi giorni, devoto alla principessa la quale non dimenticò mai che doveva la vita a quel fedele servitore. Mai più nessuna matrigna cattiva venne a turbare i suoi giorni, che trascorse felice e serena insieme al padre.
Dato che il principe Toyonari non aveva figli maschi, adottò il figlio di uno dei nobili di corte perché fosse il suo erede e sposasse la figlia Hase-Hime, e dopo pochi anni il matrimonio ebbe luogo. Hase-Hime visse fino a una felice vecchiaia, e tutti dicevano che era la più saggia, la più devota e la più bella padrona che mai avesse governato nell’antica casa del principe Toyonari. Ebbe la gioia di presentare il proprio figlio, il futuro signore della famiglia, al padre poco prima che questi si ritirasse dalla vita attiva.
Ai giorni nostri, in un tempio buddista di Kyoto, è conservato un bell’arazzo ricamato a fili di seta che raffigura Buddha con lo stemma del loto. Si dice che sia opera delle mani della principessa Hase.

FINE

Immagine tratta dal sito: http://durendal.org

Subscribe
Notificami

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

0 Commenti
Feedbacks
Visualizza tutti i commenti
0
Lascia una recensione!x