leggende orientali – UN FEDELE SERVITORE

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Leggenda dal Giappone

Tradotta da Dario55.

UN FEDELE SERVITORE

Durante il regno dell’Imperatore Engi, che ebbe inizio nell’anno 901 d.C., visse un uomo il cui nome è stato celebre fin da allora per i suoi begli scritti, poesie e altre opere. Era il grande favorito dell’imperatore e per questo era l’uomo forte del momento, si chiamava Sugawara Michizane. Inutile dire che non passò molto tempo prima che, con tutte queste circostanze favorevoli, diventasse capo del governo, vivendo circondato dal lusso.
Le cose andarono bene per un po’, ma alla fine accadde l’inevitabile. Non tutti erano d’accordo con le opinioni e le idee politiche di Michizane. Nemici segreti si muovevano nell’ombra in ogni angolo. Tra questi c’era un uomo particolarmente malvagio di nome Tokihira, i cui velenosi intrighi a corte erano continui.
Tokihira occupava nel governo la posizione immediatamente inferiore a quella di Michizane e lo odiava con tutto il cuore, convinto che se fosse riuscito a far perdere a Michizane i favori dell’imperatore, avrebbe potuto diventare lui capo del governo.
Michizane era un uomo con pochissimi difetti, per cui Tokihira non riusciva a trovare alcun appiglio per far correre voci negative su di lui; ma più il tempo passava, più cresceva la sua decisione di rovinarlo.

Alla fine giunse l’occasione. Tokihira, che aveva molti agenti segreti incaricati di cercare di scoprire qualcosa da riferire all’imperatore contro Michizane, sentì dire che il principe Toki (Toki no Miya) si era segretamente innamorato della bella figlia di Michizane, e che i due s’incontravano in segreto.
Tokihira fu felicissimo di questa notizia e andò dritto filato dall’imperatore, che lo ricevette quando seppe che aveva una meravigliosa storia di intrighi da raccontargli.
«Vostra maestà», disse Tokihira, «mi dà molta pena riferirvelo: è in corso un grave complotto. Sugawara Michizane ha manovrato in modo che il fratello minore di vostra maestà, il principe Toki, s’innamorasse di sua figlia. Per quanto mi addolori dirvelo, i due s’incontrano segretamente. Per di più Michizane, il primo ministro di vostra maestà, sta tramando l’assassino di vostra maestà, o come minimo di detronizzarvi in favore del principe Toki, che sposerà la figlia di Michizane».
Naturalmente l’imperatore Engi s’infuriò. Era un monarca giusto e buono e con l’aiuto di Michizane aveva governato il popolo con imparzialità, fermezza e giustizia. Aveva considerato Michizane un amico personale, e il pensiero che Michizane stesse tramando il suo assassinio o comunque avesse intenzione di collocare il principe Toki sul trono e di far sposare sua figlia al principe, era più di quanto potesse tollerare.
Fece chiamare Michizane.
Michizane protestò la propria innocenza. Era vero, disse, che il principe si era innamorato di sua figlia, ma non c’era affatto da stupirsi. Sua figlia era bella, lei e il principe avevano la stessa età e si erano frequentati molto fin dall’infanzia. Adesso che erano cresciuti, si erano accorti che la loro amicizia era diventata amore. E questo era tutto. Non era facile per un principe di sangue reale incontrarsi con la donna del suo cuore così pubblicamente come potevano farlo altri, e sicuramente si erano incontrati in segreto perché la ragazza gli aveva chiesto di fare così. Quanto al complotto riferito da Tokihira, era pura fantasia, e per lui era motivo di grande sorpresa udire un’accusa così ignobile.
Ma Tokihira alimentò la collera dell’imperatore. Con parole pesanti e volgari menzogne fece in modo che tutte le giustificazioni si rivolgessero contro il povero Michizane, e fu così che Michizane fu mandato in esilio per il resto della vita a Tsukushi, nell’isola di Kyushu.
Accompagnato solo dal fedele servitore Matsuo, Michizane andò in esilio. La punizione di Michizane, per quanto ingiusta, fece perdere il posto a molti altri. Tutti coloro che erano stati strettamente legati a lui furono licenziati. Tra questi c’era Takebayashi Genzo, che era stato a capo del seguito di Michizane. Genzo era stato uno dei discepoli di Michizane negli studi letterari, e quindi non c’è da stupirsi se quando questi perse l’impiego, fuggì in una piccola città portando con sé la moglie di Michizane e il figlio dei due, Kanshusai, che aveva dieci anni. Tutti cambiarono nome, e Genzo, per provvedere a loro come se fossero la sua stessa famiglia, aprì una piccola scuola.
Fu così che per un certo periodo Kanshusai riuscì a sfuggire ai malvagi complotti orditi da Tokihira contro la sua vita.
Matsuo, il fedele servitore che aveva seguito nell’esilio il padrone Michizane, venne a sapere del vile complotto per assassinare il figlio del suo padrone e, dopo aver pensato per molti giorni al modo di sventarlo, capì che l’unico sistema sarebbe stato quello di sacrificare il suo unico figlio al posto di Kanshusai.
Per prima cosa riferì il progetto al suo maestro in esilio e, ottenuto il permesso, tornò a Kyoto e cercò Tokihira, al quale offrì di entrare il suo servizio e di dar la caccia al figlio di Michizane, Kanshusai. Tokihira lo assunse subito, pensando che ora avrebbe sicuramente trovato il ragazzo a cui voleva tagliare la testa. Tokihira aveva preso il posto di Michizane nei favori dell’imperatore e aveva un grande potere, i suoi desideri erano legge.

un fedele servitore
Matsuo dichiara che la testa è quella di Kanshusai

Matsuo recitò così bene la sua parte nella casa di Tokihira e tra i suoi servitori, che non ci volle molto tempo prima che tutti convenissero che Matsuo era assolutamente fedele al suo nuovo padrone, tanto che in lui fu riposta la massima fiducia.
Non molto tempo dopo, Tokihira venne a sapere che Kanshusai era nascosto, sotto falso nome, nella scuola che apparteneva a Genzo. A Genzo fu ordinato di mandare a Tokihira la testa del ragazzo entro quarantotto ore.
Matsuo, sempre fedele, udendo ciò, andò alla scuola di Genzo travestito e rivelò al direttore, che fu subito d’accordo, il suo piano per salvare Kanshusai. Allora Matsuo mandò il figlio Kotaro alla scuola di Genzo, sapendo che quel povero ragazzo non ne sarebbe ritornato vivo, e benché (sia detto a suo onore) fosse profondamente addolorato per l’uccisione del ragazzo, si fece forza al pensiero della sorte del suo ex maestro che ciò avrebbe salvato la vita di Kanshusai.
Con un colpo di spada tagliò la testa innocente.

Al momento concordato chiamò alla scuola gli ufficiali di Tokihira per prenderla, e costoro la riportarono a Tokihira, dicendo:
«Ecco, padrone Tokihira, non c’è più nulla da temere per il futuro del figlio di Michizane, perché la sua testa è in questa scatola. Guarda! E qui c’è il direttore della scuola, Genzo, che ha obbedito agli ordini di vostra signoria e l’ha tagliata».
Tokihira fu compiaciuto, ma non era ancora del tutto sicuro che la testa fosse quella giusta, per cui, sapendo che in passato Matsuo aveva lavorato per Michizane e che doveva certamente sapere se quella era la testa di Kanshusai oppure no, lo fece chiamare e gli ordinò di tirar fuori la testa dalla scatola e di identificarla.
Povero Matsuo! Immaginate come poteva sentirsi nell’estrarre dalla scatola la testa di Kotaro, prenderla per i capelli e dire a Tokihira che si trattava della testa di Kanshusai, figlio di Michizane! Nonostante ciò, fece quello che gli era stato ordinato, con un ammirevole autocontrollo e una incredibile forza d’animo, salvando così la vita di Kanshusai e fugando ogni dubbio del suo padrone Michizane.
La fedeltà di Matsuo è ancora venerata da tutti coloro che conoscono la storia.
Non molto tempo dopo uno spaventoso temporale si abbatté su Kyoto. Un fulmine colpì il palazzo di Tokihira e lo uccise. Quel giorno la gente disse che lo spirito di Michizane era sceso sulla terra in forma di fulmine per reclamare la sua vendetta.

FINE


NOTE

Testo originale e illustrazione in:
http://www.sacred-texts.com/shi/atfj/atfj12.htm

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