Leggende Orientali – JIKININKI

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Leggenda dal Giappone

Tradotta da Dario55

JIKININKI

Un giorno, mentre Muso Kokushi, un sacerdote della setta Zen, stava viaggiando da solo attraverso la provincia di Mino,(1) perse la strada in un distretto montagnoso in cui non c’era anima viva per indicargli il cammino. Vagò per un bel po’ di tempo quasi senza speranza e stava cominciando a disperare di trovare un riparo per la notte, quando notò in cima a una collina illuminata dagli ultimi raggi del sole, uno di quagli eremi, chiamati anjitsu, costruiti proprio per i sacerdoti solitari. Malgrado sembrasse in rovina, si affrettò con entusiasmo nella sua direzione e lo trovò abitato da un vecchio sacerdote, a cui chiese il favore di alloggiarlo per la notte. Il vecchio oppose un netto rifiuto, ma indicò a Muso a un piccolo villaggio nella valle spiegandogli dove avrebbe potuto trovare vitto e alloggio.
Muso trovò la strada per il villaggio, che era composto da meno di una dozzina di capanne di contadini. Qui fu accolto cortesemente nell’abitazione del capo del villaggio. Al momento dell’arrivo di Muso quaranta o cinquanta persone erano riunite nella stanza principale, ma fu accompagnato in una stanzetta separata, dove gli fu subito offerto cibo e un letto. Poiché era molto stanco, andò a dormire presto, ma poco prima di mezzanotte fu svegliato dal suono di un pianto disperato nella stanza accanto. Poco dopo le pareti scorrevoli furono delicatamente aperte, e un giovane che recava con sé una lanterna accesa entrò nella stanza, lo salutò con rispetto e disse:
«Onorevole signore, è mio triste compito informarti che ora sono io il capo responsabile di questa casa. Ieri ero solo il figlio maggiore. Ma quando sei arrivato qui, stanco com’eri, non volevamo assolutamente che ti sentissi in imbarazzo: perciò non ti abbiamo detto che nostro padre era morto solo poche ore prima. Le persone che hai visto nella stanza accanto sono gli abitanti di questo villaggio: si erano tutti riuniti qui per tributare gli ultimi omaggi al defunto e ora si stanno recando in un altro villaggio a circa tre miglia da qui, perché è nostra usanza che nessuno di noi rimanga in questo villaggio durante la notte dopo che la morte vi ha preso dimora. Facciamo le offerte e pronunciamo le preghiere dovute, poi ce ne andiamo lasciando solo il cadavere. Strane cose succedono sempre nella casa in cui un morto è stato lasciato in questo modo: perciò siamo del parere che sarà meglio per te venir via con noi. Possiamo trovarti una buona sistemazione nell’altro villaggio. Ma forse, dato che sei un sacerdote, dèmoni e spiriti maligni non ti spaventano, e se non hai paura di essere lasciato solo con il morto, saremo onoratissimi che tu approfitti della nostra povera casa. Tuttavia devo avvertirti che nessuno, tranne un sacerdote, avrebbe il coraggio di rimanere qui stanotte».
Muso rispose:
«Vi sono profondamente grato per la vostra cortesia e la vostra generosa ospitalità. Tuttavia mi dispiace che quando sono arrivato non mi abbiate detto che vostro padre era morto, perché, anche se ero un po’ stanco, non lo ero certamente tanto da avere difficoltà a compiere il mio dovere di sacerdote. Se me l’aveste detto, avrei celebrato il servizio funebre prima della vostra partenza. Stando così le cose, lo celebrerò dopo che ve ne sarete andati e veglierò presso il corpo fino al mattino. Non so cosa vogliano significare le tue parole sul pericolo di rimanere qui solo, ma non ho paura di spiriti o dèmoni: perciò ti prego di non stare in pena per me».
Il giovane si mostrò lieto di queste rassicurazioni ed espresse la sua gratitudine con parole adatte. Poi gli altri membri della famiglia e le persone riunite nella stanza accanto, informati delle gentili promesse del sacerdote, andarono a ringraziarlo, dopodiché il padrone di casa disse:
«Adesso, onorevole signore, malgrado ci dispiaccia molto lasciarti, siamo costretti ad affrettarci a dirti addio. Per le leggi del villaggio nessuno di noi può fermarsi dopo mezzanotte. Ti preghiamo, gentile signore, di avere ogni cura della tua onorevole persona, poiché non potremo offrirti alcuna assistenza. E se ti capita di udire o vedere qualcosa di insolito durante la nostra assenza, ti preghiamo di riferircela domattina al nostro ritorno».
Poi tutti abbandonarono la casa, tranne il sacerdote, che andò nella stanza dove giaceva il morto. Le offerte tradizionali erano state collocate davanti al cadavere e una piccola lampada buddista – tomyo – era accesa. Il sacerdote recitò il servizio e celebrò le cerimonie funebri, poi si raccolse in meditazione. Rimase così meditando in silenzio per diverse ore, e nel villaggio deserto non si udiva il minimo rumore. Ma quando il silenzio della notte si fece più profondo, una figura grande e indistinta entrò senza far rumore, e nello stesso momento Muso si ritrovò incapace di muoversi o di parlare. Vide la figura sollevare il corpo, come se avesse le mani, e divorarlo più velocemente di quanto un gatto divora un topo, cominciando dalla testa, poi mangiando tutto il resto: i capelli e le ossa e perfino il sudario. E quella cosa mostruosa, dopo aver divorato il corpo, si girò verso le offerte e mangiò anche quelle. Poi se ne andò misteriosamente come era venuta.
Quando i paesani fecero ritorno il mattino dopo, trovarono il sacerdote ad attenderli sulla porta dell’abitazione del capo. Lo salutarono e una volta che furono entrati ed ebbero dato un’occhiata alla stanza, nessuno si meravigliò del fatto che il cadavere e le offerte fossero scomparse. Ma il capo della casa disse a Muso:
«Onorevole signore, è probabile che durante la notte tu abbia visto cose sgradevoli: eravamo tutti preoccupati per te. Ma adesso siamo molto contenti di ritrovarti vivo e incolume. Saremmo stati ben lieti di restare con te, se fosse stato possibile. Ma la legge del nostro villaggio, come ti ho detto ieri sera, ci impone di abbandonare le nostre case dopo che la morte vi ha preso dimora e di lasciare solo il cadavere. Ogni volta che questa legge è stata infranta prima d’ora, grande disgrazia ne è seguita. Ogni volta che è stata rispettata, abbiamo scoperto che il cadavere e le offerte erano scomparse durante la nostra assenza. Forse tu hai visto il motivo».
Allora Muso riferì della figura nebbiosa e orribile che era entrata nella stanza e aveva divorato il corpo e le offerte. Nessuno sembrò meravigliarsi per questo racconto, e il capo della casa osservò:
«Quello che hai visto, venerabile signore, concorda con quanto è stato narrato su questo argomento fin dall’antichità».
Allora Muso chiese:
«Il sacerdote che vive sulla collina celebra qualche volta le cerimonie funebri per i vostri morti?»
«Quale sacerdote?», chiese il giovane.
«Il sacerdote che ieri sera mi ha indirizzato a questo villaggio», rispose Muso. «L’ho incontrato nel suo anjitsu su quella collina laggiù. Si è rifiutato di ospitarmi, ma mi ha indicato la strada per venire qui».
I presenti si guardarono tra loro, come colti da stupore, e dopo qualche istante di silenzio il padrone della casa disse:
«Venerabile signore, non esiste alcun sacerdote e sulla collina non c’è nessun anjitsu. Da molte generazioni non ci sono stati sacerdoti residenti nei dintorni».
Muso non aggiunse altro sull’argomento, perché era chiaro che i suoi gentili ospiti pensavano che fosse stato ingannato da un goblin. Ma dopo essersi congedato da loro e aver ricevuto tutte le informazioni necessarie sull’itinerario, decise di dare un’altra occhiata all’eremo sulla collina e di assicurarsi se fosse stato veramente ingannato.
Non ebbe difficoltà a ritrovare l’anjitsu e questa volta il suo anziano abitante lo invitò a entrare. Quando lo ebbe fatto, l’eremita s’inchinò umilmente davanti a lui ed esclamò:
«Ah! Mi vergogno! Mi vergogno tanto! Sono pieno di vergogna!»
«Non devi vergognarti per aver rifiutato di darmi ospitalità», disse Muso. «Mi hai indicato la strada per il villaggio, dove sono stato trattato con molta gentilezza, e ti ringrazio per questa cortesia».
«Non posso ospitare nessuno», rispose il recluso, «e non mi vergogno per il rifiuto. Mi vergogno solo perché mi hai visto nella mia vera forma, perché ero io quello che ha divorato il corpo e le offerte la notte scorsa davanti ai tuoi occhi… Devi sapere, onorevole signore, che sono un jikininki,(2) un mangiatore di carne umana. Abbi compassione di me e permettimi di confessarti la colpa segreta che mi ha ridotto in questa condizione.
«Moltissimo tempo fa ero un sacerdote in una regione solitaria. Non c’erano altri sacerdoti all’infuori di me per molte leghe all’intorno. Ebbene, a quel tempo, era usanza portare qui, a volte da molto lontano, i corpi dei montanari che morivano, affinché potessi celebrare su di essi i sacri riti. Ma io ripetevo le preghiere e celebravo i riti solo come un semplice lavoro abituale, pensavo solo al cibo e ai vestiti che la mia sacra professione mi permetteva di ottenere. E a causa di questa malvagia empietà, subito dopo la mia morte sono stato reincarnato nella condizione di un jikininki. Da allora sono stato costretto a divorare i cadaveri delle persone che muoiono in questo distretto: devo divorare ciascuno di loro nel modo che hai visto la notte scorsa… Ora, venerabile signore, concedimi di supplicarti di celebrare una cerimonia Segaki (3) per me: aiutami con le tue preghiere, ti scongiuro, così che possa liberarmi da questa orrenda condizione di esistenza…».
Non appena l’eremita ebbe espresso la sua richiesta, scomparve, e nello stesso istante scomparve anche l’eremo. E Muso Kokushi si trovò inginocchiato da solo nell’erba alta, accanto a una tomba antica e coperta di muschio della forma della go-rin-ishi,(4) che sembrava essere la tomba di un sacerdote.

FINE

NOTE

(1) La parte meridionale dell’attuale prefettura di Gifu.
(2) Letteralmente “goblin mangiatore di uomini”. Il narratore giapponese riporta anche il termine sanscrito “Rakshasa”, ma questo termine è un po’ più vago di jikininki, in quanto esistono molti tipi di Rakshasas. Apparentemente la parola “jikininki” indica qui uno dei Baramon-Rasetsu-Gaki, che formano le ventisei classi di pretas (esseri rinati in una condizione inferiore a quella umana e a quella animale a causa del loro comportamento dettato da avarizia o gelosia) elencate negli antichi libri buddisti.
(3) Una cerimonia Segaki è una speciale cerimonia buddista celebrata per aiutare esseri che si crede siano entrati nella condizione di gaki (pretas), ossia spiriti affamati.
(4) Letteralmente “Pietra a cinque cerchi (o a cinque zone)”, un monumento funebre composto da cinque parti sovrapposte, ciascuna di forma differente, simboleggianti i cinque elementi mistici: etere, aria, fuoco, acqua, terra.

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