leggende orientali – HARISARMAN

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Racconto popolare indiano

Tradotta da Dario55

Harisarman

In un villaggio viveva un Brahman di nome Harisarman. Era povero e sciocco e non aveva la possibilità di trovare un lavoro, per di più aveva molti figli: raccoglieva il frutto delle cattive azioni compiute in una vita precedente. Andava mendicando con la sua famiglia, e un giorno giunse in una città ed entrò a servizio di un ricco proprietario di nome Sthuladatta. I figli diventarono guardiani delle mucche e di altre proprietà di Sthuladatta, la moglie diventò la sua serva e lui andò a vivere vicino alla casa del padrone, svolgendo l’incarico di servitore. Un giorno ci fu una festa per il matrimonio della figlia di Sthuladatta, a cui partecipò molta gente, tra cui molti amici dello sposo. Harisarman sperava di riuscire a riempirsi la pancia di carne, burro e altre squisitezze, e di portarne anche alla sua famiglia che viveva nella casa del padrone. Mentre stava aspettando con ansia di mettersi a mangiare, nessuno di curava di lui.
Alla fine fu molto dispiaciuto di non aver trovato niente da mangiare e alla sera disse alla moglie:
«È colpa della mia miseria e ottusità, se qui mi trattano senza nessun rispetto. Farò finta con un trucco di conoscere la magia, così diventerò oggetto di rispetto per questo Sthuladatta. Tu dovrai aiutarmi: appena avrai l’occasione, gli dirai che conosco le arti magiche».

harisarmanCosì le disse, e dopo aver pensato a lungo un piano, mentre tutti erano addormentati, portò via dalla casa di Sthuladatta un cavallo su cui il genero di lui era solito cavalcare. Lo nascose a una certa distanza, così il mattino dopo gli amici del novello sposo non riuscirono a trovarlo, malgrado lo cercassero da tutte le parti. Poi, mentre Sthuladatta era preoccupato da quel cattivo segno e cercava i ladri che avevano portato via il cavallo, la moglie di Harisarman si recò da lui e gli disse:
«Mio marito è un uomo sapiente, esperto in astrologia e scienze magiche. Perché non lo consulti? Lui può far tornare indietro il cavallo».
Quando Sthuladatta udì ciò, fece venire Harisarman, che disse:
«Ieri sono stato dimenticato, ma oggi, che il cavallo è stato rubato, ci si ricorda di me».
Allora Sthuladatta, cercò di calmare il Brahman con queste parole:
«Ti prego, dimentica di essere stato dimenticato», e gli chiese di dirgli chi aveva rubato il cavallo.
Harisarman disegnò una gran quantità di falsi segni magici di ogni tipo e disse:
«I ladri hanno portato il tuo cavallo sul confine a sud di questa regione. L’hanno nascosto lì, e prima che sia condotto via lontano, come avverrà alla fine di questo giorno, affrettati e vai a riprenderlo».
Non appena Sthuladatta udì queste parole, ordinò ai suoi uomini di correre e di riportare indietro il cavallo in tutta fretta, lodando nel contempo la sagacia di Harisarman. Così Harisarman fu onorato da tutti come un uomo saggio e sapiente, e andò ad abitare a palazzo, felice e onorato da Sthuladatta.
Ora, passati alcuni giorni, un ladro rubò oro e gioielli dal palazzo del re. Non sapendo chi era il ladro, il re fece subito chiamare Harisarman, in quanto godeva fama di conoscere le arti magiche. Quando fu davanti al re, Harisarman cercò di guadagnare tempo e disse:
«Te lo dirò domani».
Allora il re lo fece chiudere in una stanza sotto stretta sorveglianza. Harisarman era triste e preoccupato, perché aveva finto di conoscere le arti magiche.
Ora in quel palazzo viveva una ragazza di nome Jihva (che significa “lingua”), che aiutata dal fratello aveva rubato il tesoro dal palazzo. Preoccupata del fatto che Harisarman conosceva la magia, durante la notte si avvicinò alla porta della sua stanza e vi appoggiò l’orecchio per ascoltare cosa stava accadendo all’interno. Harisarman, che era solo nella stanza, proprio in quel momento stava maledicendo a gran voce la propria lingua, che gli aveva permesso di vantare una conoscenza che non possedeva. Diceva:
«O Lingua, che hai mai fatto, spinta dalla tua avidità? Sei malvagia, e patirai il castigo fino in fondo!»
Quando Jihva udì queste parole, pensò terrorizzata di essere stata scoperta da quell’uomo saggio e cercò di fare quello che poteva per salvarsi, gettandosi ai piedi del finto mago:
«Brahman, sono io, sono quella Jihva che hai scoperto essere colei che che ha rubato il tesoro e dopo averlo preso lo ha sepolto nel giardino dietro il palazzo, sotto un albero di melograno. Risparmiami, e in cambio ti darò una parte dell’oro che possiedo».
Udito ciò, Harisarman le disse con orgoglio:
«Vattene, so già tutto. Io conosco il passato, il presente e il futuro, ma non ti denuncerò, perché sei un’infelice creatura che ha implorato la mia protezione. Ma in cambio devi portarmi una parte dell’oro che hai rubato».
Quando ebbe detto questo alla ragazza, lei acconsentì e se ne andò velocemente. Allora Harisarman, stupito, cominciò a riflettere:
“Il destino ha fatto succedere l’impossibile: il disastro incombeva, chi avrebbe mai pensato che si sarebbe trasformato in un successo? Proprio mentre stavo maledicendo la mia jihva, la ladra Jihva si è buttata improvvisamente ai miei piedi. I delitti segreti vengono alla luce quando c’è di mezzo la paura”.
Immerso in questi pensieri trascorse felicemente la notte nella sua stanza. Il mattino dopo, facendo sfoggio delle sue millantate conoscenze, portò il re nel giardino e lo guidò fino al tesoro sepolto sotto l’albero di melograno, dicendogli che il ladro era fuggito con una parte di esso. Il re fu molto soddisfatto e gli concesse le rendite di parecchi villaggi.
Ma un ministro di nome Devajnanin sussurrò all’orecchio del re:
«Come può un uomo possedere una simile conoscenza, irraggiungibile dagli uomini, senza avere studiato i libri di magia? Credi a me, questa è la prova di un comportamento disonesto, costui si è messo d’accordo in segreto con i ladri. Credo sia meglio metterlo alla prova con qualche nuovo trucco».
Allora il re fece portare un’anfora coperta, nella quale aveva gettato una rana, e disse ad Harisarman:
«Brahman, se riuscirai a indovinare cosa c’è in quest’anfora, oggi ti farò tributare grandi onori».
Quando il brahman Harisarman udì ciò, pensò che era giunta la sua ultima ora. Gli tornò in mente il nome “Ranocchio”, che suo padre gli aveva dato quando era bambino, e spinto dalla disperazione prese a compiangere la sua triste sorte dicendo:
«Questa è proprio una bella anfora per te, Ranocchio. Presto arriverà colui che ti distruggerà e segnerà la fine della tua triste vita».
Appena le persone presenti lo ebbero udito pronunciare queste parole, scoppiarono in un grido di approvazione, perché quello che aveva detto coincideva perfettamente con l’oggetto che gli era stato presentato, e mormorarono:
«Ah! Che grande saggio! Sa tutto perfino delle rane!»
Allora il re, pensando che questo fosse dovuto alla conoscenza dell’arte divinatoria, fu molto soddisfatto e concesse ad Harisarman le rendite di ancor più villaggi, insieme a oro, un ombrello e portantine di ogni genere. E così Harisarman divenne uno degli uomini più ricchi del mondo.

FINE


NOTE

Testo originale in:
http://worldoftales.com/Asian_folktales/Indian_folktale_11.html

Illustrazione in:
http://www.sacred-texts.com/hin/ift/ift12.htm

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