Leggende Orientali – LO SPECCHIO E LA CAMPANA

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Leggenda dal Giappone

Tradotta da Dario55

LO SPECCHIO E LA CAMPANA

Otto secoli or sono i sacerdoti di Mugenyama, nella provincia di Totomi (1), desideravano una grande campana per il loro tempio e chiesero alle fedeli di aiutarli offrendo i loro specchi di bronzo per il metallo con cui fabbricare la campana.

Ancor oggi, nei cortili di alcuni templi giapponesi è possibile vedere mucchi di vecchi specchi di bronzo offerti per questo motivo. Una grande raccolta di questo genere si trova nel cortile di un tempio della setta di Jodo, ad Hakata, sull’isola di Kyûshû: gli specchi erano stati donati per fabbricare una statua di bronzo di Amida (2) alta dieci metri.
A quel tempo c’era una giovane donna, la moglie di un contadino, che viveva a Mugenyama e offrì il suo specchio al tempio per la campana. Ma poco dopo cominciò a rimpiangere molto lo specchio. Ricordava quello che le aveva detto sua madre su quell’oggetto e che era appartenuto non solo a sua madre, ma alla madre di sua madre e alla madre di questa, e ricordava i sorrisi felici che aveva riflesso. Naturalmente, se avesse offerto ai sacerdoti una certa somma di denaro in cambio dello specchio, avrebbe potuto richiedere indietro quel cimelio di famiglia. Ma non aveva il denaro necessario. Ogni volta che si recava al tempio vedeva il suo specchio nel cortile dietro una ringhiera, insieme a centinaia di altri specchi ammucchiati lì tutti insieme. Lo riconosceva dallo Sho-Chiku-Bai in rilievo sul lato posteriore, i tre simboli portafortuna del pino, del bambù e del fiore di susino che avevano incantato i suoi occhi di bambina quando sua mamma le aveva mostrato lo specchio per la prima volta. Desiderava che si presentasse l’occasione di rubare lo specchio e nasconderlo, dopodiché l’avrebbe sempre custodito gelosamente. Ma l’occasione non si presentò, e lei diventò molto infelice, provava la sensazione di avere stupidamente gettato via una parte della sua vita. Ripensava al vecchio detto secondo cui uno specchio è l’Anima di una Donna (un’espressione misticamente riportata con caratteri cinesi sul retro di molti specchi di bronzo) e aveva paura che fosse molto più vera e fatidica di quanto avesse mai immaginato. Ma non osava confidare a nessuno le sue paure.
Ora, quando tutti gli specchi furono offerti per la campana di Mugenyama e furono mandati alla fonderia, i fonditori si accorsero che fra questi ce n’era uno che non voleva fondersi. Provarono tante volte a fonderlo, ma lo specchio resistette a tutti i loro sforzi. Era chiaro che la donna che aveva offerto lo specchio al tempio si era pentita del dono. Non aveva presentato l’offerta con tutto il cuore, e quindi la sua anima egoista, essendo rimasta unita allo specchio, lo rendeva duro e freddo in mezzo alla fornace.
Naturalmente tutti vennero a conoscenza della cosa e ciascuno seppe qual era lo specchio che non si poteva fondere. E a causa della diffusione di questa sua colpa segreta, la povera donna si sentì piena di vergogna e si arrabbiò moltissimo. E non potendo sopportare la vergogna, si annegò, dopo avere scritto una lettera d’addio che conteneva queste parole:
“Quando sarò morta, non sarà difficile fondere lo specchio e colare la campana. Ma la persona che spezzerà la campana suonandola riceverà dal mio spirito grande ricchezza è prosperità”.
Bisogna sapere che l’ultimo desiderio o l’ultima promessa di una persona che muore adirata o si suicida si crede possieda una forza soprannaturale. Dopo che si riuscì a fondere lo specchio della donna e a colare la campana, la gente si ricordò delle parole di quella lettera. Si sentivano certi che lo spirito della donna avrebbe dato ricchezza e prosperità a chi avesse spezzato la campana e, non appena questa fu appesa nel cortile del tempio, accorsero in massa per suonarla. Maneggiavano il batacchio con tutte le forze, ma la campana dimostrò di essere una buona campana e resistette coraggiosamente a ogni assalto. Malgrado ciò la gente non si lasciò scoraggiare con tanta facilità. Un giorno dopo l’altro, a tutte le ore, continuarono a suonare furiosamente la campana, senza fare il minimo caso alle proteste dei sacerdoti. E così quel suono diventò un tormento, finché i sacerdoti non riuscirono più a resistere e si liberarono della campana facendola rotolare giù dalla collina dentro una palude. La palude era profonda e la inghiottì, e questa fu la fine della campana. Rimase solo la sua leggenda, e questa leggenda è chiamata la Mugen-Kane, ossia la Campana di Mugen.

FINE

Note
1 – Totomi (Tōtōmi-no kuni) è una delle vecchie Province del Giappone situata nell’area che è oggi della parte occidentale della prefettura di Shizuoka.
2 – Il nome (passato al giapponese dal sanscrito Amitabha, luce infinita) indica uno dei cinque “Buddha di contemplazione” (Dhyanibuddha) originati dal pensiero del primo Buddha.
È il “signore del Paradiso Occidentale” (dove risiedono i Beati), viaggia su una coppia di pavoni e la sua arma è il loto.
Simbolo dell’amore universale, gli si attribuisce la custodia e la difesa delle anime umane contro le tentazioni. Per questi suoi attributi, dunque, ai fedeli che vogliono ottenere la salvezza è sufficiente un atteggiamento di semplice devozione, anche soltanto ripetendo con fiducia il suo nome.

Testo originale in:
http://www.sarudama.com/japanese_folklore/kwaidan_-_of_a.shtml
http://www.sacred-texts.com/shi/kwaidan/kwai07.htm

Illustrazione in:
http://www.sarudama.com/japanese_folklore/kwaidan_-_of_a.shtml

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