Leggende Orientali – LA BATTAGLIA TRA LA SCIMMIA E IL GRANCHIO

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Leggenda dalla Cina

Tradotta da Dario55

LA BATTAGLIA TRA LA SCIMMIA E IL GRANCHIO

Molto tempo fa in Giappone, in un luminoso giorno d’autunno, una scimmia e un granchio stavano giocando insieme sulla riva di un fiume. Mentre correvano, il granchio trovò un o-nigiri [polpettina di riso] e la scimmia un seme di cachi.
Il granchio raccolse la polpettina di riso e la mostrò alla scimmia dicendo:
«Guarda che bella cosa ho trovato!»
Allora la scimmia sollevò il suo seme di cachi e disse:
«Anch’io ho trovato una bella cosa! Guarda!»
Ora, sebbene la scimmia avesse sempre avuto un debole per i cachi, non sapeva che farsene del seme che aveva appena trovato. Il seme di cachi è immangiabile e duro come una pietra. Perciò, essendo di natura ingorda, invidiò molto la bella polpettina di riso del granchio e propose uno scambio. Il granchio non vedeva il motivo per cui avrebbe dovuto rinunciare al suo trofeo per un seme duro come la pietra e non accettò la proposta della scimmia.
Allora l’astuta scimmia cominciò a convincere il granchio, dicendo:
«Sei poco saggio a non pensare al futuro. La tua polpettina di riso si può mangiare subito ed è certamente molto più grossa del mio seme. Ma se pianti questo seme nella terra, presto comincerà a crescere e in pochi anni diventerà un grande albero e produrrà in abbondanza dei bei cachi maturi un anno dopo l’altro. Prova solo a immaginarti quei bei frutti succosi che pendono dai suoi rami! Ma naturalmente tu non mi credi, e così lo seminerò da solo, anche se sono sicuro che un giorno ti dispiacerà moltissimo non aver seguito il mio consiglio».
Il granchio, che aveva un animo semplice, non riuscì a resistere all’abile opera di convincimento della scimmia. Alla fine acconsentì alla proposta, e lo scambio fu fatto. La furba scimmia divorò subito la polpettina e diede con molta riluttanza il seme di cachi al granchio. Le sarebbe piaciuto tenersi anche quello, ma temeva che il granchio si sarebbe arrabbiato e l’avrebbe pizzicata con le sue chele come forbici. Poi si accomiatarono. La scimmia tornò al suo albero nella foresta e il granchio agli scogli sulla riva del fiume. Non appena il granchio arrivò a casa, piantò nella terra il seme di cachi come gli aveva detto la scimmia.
La primavera seguente il granchio si rallegrò nel vedere il germoglio di un giovane albero che usciva dalla terra. Ogni anno cresceva sempre più, finché una primavera fiorì e l’autunno seguente produsse dei cachi belli grossi. I frutti pendevano tra le foglie lisce e larghe come sfere dorate e man mano che maturavano diventavano di un bell’arancione scuro. Per il piccolo granchio era un piacere uscire ogni giorno, sedersi al sole, sporgere i lunghi occhi come una lumaca sporge le corna e stare a guardare i cachi che maturavano alla perfezione.
«Dev’essere semplicemente delizioso mangiarli», diceva tra sé.
Un giorno vide che i cachi erano abbastanza maturi ed ebbe voglia di assaggiarne uno. Fece molti tentativi per arrampicarsi sull’albero, nella vana speranza di raggiungere uno di quei bei cachi che pendevano sopra di lui, ma non ci riuscì, perché le zampe del granchio non sono fatte per arrampicarsi sugli alberi, ma solo per correre sulla terra e sugli scogli, due cose che sa fare con molta abilità. In questa imbarazzante situazione gli venne in mente la sua vecchia compagna di giochi, la scimmia, che sapeva essere in grado di arrampicarsi sugli alberi meglio di chiunque altro al mondo. Decise di chiedere alla scimmia di aiutarlo e si avviò per cercarla.
Muovendosi alla maniera dei granchi sulla riva ghiaiosa del fiume, imboccò il sentiero del bosco ombroso e infine trovò la scimmia che schiacciava il pisolino pomeridiano sul suo pino preferito, con la coda strettamente arrotolata a un ramo per evitare di cadere durante il sonno. Ma si svegliò subito quando si sentì chiamare e ascoltò con impazienza quello che le diceva il granchio. Quando seppe che il seme che tempo prima aveva dato in cambio di una polpettina di riso era cresciuto fino a diventare un albero carico di buoni frutti, fu molto soddisfatta, perché aveva subito pensato a un piano astuto che le avrebbe permesso di avere tutti i cachi per sé.
Accettò di andare insieme al granchio per raccogliere i frutti al posto suo. Quando furono sul posto, la scimmia rimase sbalordita nel vedere com’era bello l’albero che era nato dal seme e di quanti frutti maturi erano carichi i rami.
Si arrampicò velocemente sull’albero e cominciò a raccogliere e mangiare più in fretta che poteva un cachi dopo l’altro. Ogni volta sceglieva il migliore e il più maturo che riusciva a trovare e ne mangiò fino a non poterne più. Non ne diede nessuno al povero granchio affamato che aspettava ai piedi dell’albero e quando ebbe finito, non erano rimasti che pochi frutti, tutti duri e acerbi.

La scimmia uccide il granchio

Potete immaginare come si sentì il povero granchio dopo aver aspettato pazientemente per tanto tempo che l’albero crescesse e i frutti maturassero, quando vide la scimmia divorare tutti quei buoni cachi. Era così contrariato che girava tutto attorno all’albero esortando la scimmia a mantenere la promessa. In un primo momento la scimmia non fece caso alle proteste del granchio, ma poi raccolse i cachi più verdi e più duri che riuscì a trovare e li tirò in testa al granchio. I cachi, quando sono acerbi, sono duri come pietre. I proiettili della scimmia raggiunsero il bersaglio, e il granchio fu ferito gravemente dai colpi. Senza interruzione e alla stessa velocità con cui riusciva ad afferrarli, la scimmia staccava i duri cachi e li gettava sul granchio indifeso, finché cadde morto con il corpo coperto di ferite. Rimase lì, offrendo una vista pietosa, ai piedi dell’albero che aveva piantato lui stesso.
Quando la scimmia malvagia vide che aveva ucciso il granchio, scappò via da quel luogo più in fretta che poteva, piena di paura e tremante, da quella codarda che era.
Ora il granchio aveva un figlio che stava giocando con un amico non lontano dal luogo in cui era avvenuto il fattaccio. Sulla strada di casa trovò il padre morto in uno stato spaventoso: aveva la testa fracassata e il guscio frantumato in più punti, e intorno al corpo erano sparsi i cachi acerbi che erano stati causa della morte. A questa vista orribile il povero giovane granchio sedette e pianse.
Ma dopo aver pianto per un po’, disse fra sé che tutto quel piangere non avrebbe fatto niente di buono. Il suo dovere era quello di vendicare l’assassinio del padre, ed era questo ciò che voleva fare. Si guardò intorno alla ricerca di qualche indizio che lo portasse a scoprire l’assassino. Osservando l’albero notò che i frutti migliori non c’erano più e che in terra era sparsa una gran quantità di bucce e di semi, oltre ai cachi acerbi che evidentemente erano stati tirati a suo padre. Allora capì che l’assassino era la scimmia, perché adesso rammentava che suo padre una volta gli aveva raccontato la storia della polpettina di riso e del seme di cachi. Il giovane granchio sapeva che alle scimmie i cachi piacciono più di qualunque altro frutto e fu certo che la golosità per quei frutti era stata, ahimè !, la causa della morte del vecchio granchio.
Il suo primo pensiero fu di andare subito ad assalire la scimmia, perché ribolliva di rabbia. Ma poi la ragione gli disse che sarebbe stato inutile, perché la scimmia era un animale vecchio e astuto e sarebbe stato duro sopraffarla. Doveva contrapporre l’astuzia all’astuzia e così chiese agli amici di aiutarlo, perché sapeva che sarebbe stato superiore alle sue forze ucciderla da solo.
Il giovane granchio andò subito a chiamare il mortaio, vecchio amico del padre, e gli raccontò ciò che era accaduto. Implorò tra le lacrime il mortaio di vendicare la morte del padre. Il mortaio fu estremamente dispiaciuto quando udì il doloroso racconto e promise subito al giovane granchio che l’avrebbe aiutato a punire la scimmia con la morte. Gli raccomandò di essere molto cauto in ciò che faceva, perché la scimmia era un nemico forte e astuto. Poi mandò a cercare l’ape e la castagna, anch’essi vecchi amici del granchio, per tenere consiglio insieme a loro sulla faccenda. Poco dopo i due arrivarono. Quando furono informati su tutti i particolari della morte del vecchio granchio e sulla cattiveria e ingordigia della scimmia, acconsentirono volentieri ad aiutare il giovane granchio nella sua vendetta.
Dopo aver discusso a lungo sul modo e i mezzi per realizzare i loro progetti, si separarono, e il signor Mortaio andò a casa del giovane granchio per aiutarlo a seppellire il suo povero padre.
Mentre accadeva questo, la scimmia si complimentava con sé stessa per aver fatto tutto in modo così accurato. Secondo lei era una bella cosa aver rubato al suo amico tutti i cachi maturi e poi averlo ucciso. Ma anche così non riusciva a dimenticare la paura delle conseguenze se i suoi misfatti fossero stati scoperti. Se la famiglia del granchio lo avesse saputo (ma pensava che non fosse possibile, perché era fuggita senza che nessuno la vedesse), l’avrebbe odiata e avrebbe voluto vendicarsi di lei. Così decise di non farsi vedere e rimase in casa per qualche giorno. Però trovava che quella vita era molto noiosa, abituata com’era alla vita libera tra gli alberi, e alla fine disse:

Mortaio colpisce la Scimmia

«Nessuno sa che ho ucciso il granchio. Sono sicura che è morto prima che me ne andassi. I granchi morti non parlano. Chi può dire che l’ho ammazzato io? Dal momento che nessuno sa niente, a che pro chiudermi in casa e stare tanto a pensarci su? Ormai quello che è fatto è fatto».
Ciò detto uscì, si diresse verso il territorio dei granchi, si avvicinò alla chetichella il più possibile alla casa del granchio e cercò di ascoltare i discorsi del vicinato. Voleva scoprire cosa stavano dicendo i granchi sulla morte del loro capo, poiché il vecchio granchio era stato il capo tribù.
Ma non riusciva a sentire niente e disse tra sé:
“Sono tanto incoscienti da non sapere che il loro capo è morto o da non preoccuparsi di sapere chi lo ha ucciso?”.
Non si rendeva minimamente conto, nella sua cosiddetta ‘saggezza scimmiesca’, che ciò che le sembrava indifferenza faceva parte del piano del giovane granchio. Di proposito faceva finta di non sapere chi aveva ucciso suo padre e di credere che fosse morto per colpa di un’imprudenza. In questo modo avrebbe mantenuto meglio il segreto sulla vendetta che stava meditando contro la scimmia.
La scimmia tornò dunque a casa piuttosto soddisfatta, pensando che ormai non aveva più nulla da temere.
Un bel giorno, mentre se ne stava seduta davanti a casa, vide arrivare all’improvviso un messaggero da parte del giovane granchio. Mentre ancora si stava chiedendo che volesse dire tutto ciò, il messaggero s’inchinò davanti a lei e disse:
«Sono stato mandato dal mio padrone per comunicarti che suo padre è morto qualche giorno fa cadendo da un albero di cachi mentre cercava di arrampicarsi per raccoglierne i frutti. Dal momento che questo è il settimo giorno, è il primo anniversario della sua morte, e il mio padrone ha preparato una piccola festa in onore del padre e t’invita a prendervi parte, in quanto eravate ottimi amici. Il mio padrone spera che onorerai la sua casa con la tua cortese visita».
Quando la scimmia udì queste parole, si rallegrò nel profondo del cuore, perché ormai tutte le sue paure di essere sospettata erano finite. Non poteva assolutamente immaginare che era appena stato messo in atto un complotto contro di lei. Si finse molto sorpresa alla notizia della morte del granchio e disse:
«Mi dispiace veramente molto di sentire che il vostro capo è morto. Come sai, eravamo grandi amici. Mi ricordo che una volta abbiamo scambiato fra noi una polpettina di riso e un seme di cachi. Mi addolora molto pensare che quel seme sia diventato la causa della sua morte. Accetto il tuo cortese invito con i più grandi ringraziamenti. Sarà un piacere per me onorare il mio povero vecchio amico». E fece uscire dagli occhi un po’ di lacrime false.
Il messaggero rise dentro di sé e pensò: “Adesso questa perfida scimmia piange lacrime false, ma tra poco ne verserà di vere”. Poi ad alta voce ringraziò educatamente la scimmia e tornò a casa.
Quando se ne fu andato, la scimmia malvagia rise forte pensando all’ingenuità del giovane granchio e senza il minimo sospetto cominciò ad aspettare con ansia la festa del giorno successivo in onore del granchio morto a cui era stata invitata. Si cambiò d’abito e si accinse solennemente a recarsi dal giovane granchio.
Trovò tutti i membri della famiglia del granchio e i loro parenti ad aspettarla per darle il benvenuto. Dopo gli inchini di rito, la condussero in una sala. Qui giunta, fu accolta dal giovane granchio vestito a lutto. Si scambiarono frasi di condoglianze e di ringraziamento, quindi cominciò una sontuosa festa in cui la scimmia era l’ospite d’onore.
Al termine della festa, fu invitata a bere una tazza da tè nella sala della cerimonia del tè. Appena il giovane granchio ebbe accompagnato la scimmia nella sala del tè, si allontanò e la lasciò sola. Trascorse un bel po’ di tempo, e il granchio ancora non ritornava. La scimmia diventava impaziente e diceva tra sé:
“Questa cerimonia del tè va veramente a rilento. Sono stanca di tutta questa attesa. Ho molta sete dopo tutto quel sakè che ho bevuto a pranzo”.
Allora si avvicinò al focolare e cominciò a versare un po’ di acqua calda dal bollitore. Quand’ecco che qualcosa irruppe dalla cenere con un grande schiocco e raggiunse al collo la scimmia. Era la castagna, uno degli amici del granchio, che si era nascosta nel focolare. La scimmia, presa di sorpresa, fece un salto all’indietro e cercò di scappare fuori della sala.
Allora l’ape, che si era nascosta dietro il paravento, volò fuori e la punse sulle guance. La scimmia soffriva molto: aveva il collo bruciacchiato dalla castagna e la faccia tutta punzecchiata dall’ape, e corse fuori urlando e strepitando di rabbia.
Ed ecco che il mortaio di pietra, che si era nascosto in mezzo alle pietre in cima al cancello del granchio, le cadde sulla testa insieme a tutte le altre pietre appena passò sotto di lui. Era forse possibile per la scimmia reggere al peso del mortaio che le cadeva in testa dalla cima del cancello? Giacque schiacciata, del tutto incapace di alzarsi. Mentre era a terra indifesa, si avvicinò il giovane granchio e tenendo le sue grandi chele sulla scimmia, disse:
«Ti ricordi quando hai ucciso mio padre?»
«Allora… mi sei… nemico?» disse la scimmia boccheggiando.
«Certo», disse il giovane granchio.
«Era… tuo padre… non… il mio…», replicò la scimmia per nulla pentita.
«Hai ancora il coraggio di mentire? Allora muori!» e detto questo, con le chele tagliò la testa alla scimmia. E la scimmia malvagia ebbe la giusta punizione, mentre il giovane granchio vendicò la morte del padre.
Qui finisce la storia della scimmia, del granchio e del seme di cachi.

FINE

Immagine provenienti dal sito: http://durendal.org

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