leggende – PUNCHKIN

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Racconto popolare indiano

Tradotta da Dario55.

Punchkin

Ci fu un tempo un Raja che aveva sette belle figlie. Erano tutte brave ragazze, ma la più giovane, di nome Balna, era più intelligente di tutte. La moglie del Raja era morta quando erano bambine, così queste sette povere principesse non avevano più una madre che si prendesse cura di loro.
Le figlie del Raja si alternavano per cucinare la cena del padre ogni giorno, mentre lui era assente per deliberare con i suoi ministri sugli affari del paese.
All’incirca in questo periodo morì il Prudhan (1), lasciando una vedova e una figlia, e ogni giorno, mentre le sette principesse stavano preparando la cena del padre, la vedova del Prudhan e la figlia venivano a mendicare un po’ di fuoco del focolare.
Allora Balna diceva alle sorelle:
«Mandate via quella donna, mandatela via. Che vada a prendere il fuoco a casa sua. Che vuole da noi? Se le permettiamo di venire qui, un giorno ne soffriremo».
Ma le altre sorelle rispondevano:
«Taci, Balna, perché devi sempre litigare con questa povera donna? Lasciale prendere un po’ di fuoco, se vuole».
Allora la vedova del Prudhan si avvicinava al focolare e prendeva alcuni tizzoni, poi mentre nessuno guardava, gettava velocemente un po’ di fango in mezzo ai piatti che si stavano preparando per la cena del Raja.
Ora il Raja era molto affezionato alle sue figlie. Fin dalla morte della madre avevano cucinato la sua cena con le proprie mani, per evitare il pericolo che fosse avvelenato dai suoi nemici. Così, quando trovò il fango mescolato con la sua cena, pensò dipendesse da una disattenzione, in quanto non sembrava probabile che qualcuno vi avesse messo del fango di proposito, ma poiché era molto benevolo, non voleva rimproverarle per questo, anche se il curry rovinato dal fango gli fu servito per molti giorni di seguito.
Infine un giorno decise di nascondersi e osservare le figlie mentre cucinavano per vedere come accadeva tutto questo; si recò quindi nella vicino alla cucina e le guardò attraverso un buco nel muro.
Da lì vide le sette figlie lavare accuratamente il riso e preparare il curry, e non appena ciascun piatto fu completo, lo portarono presso il fuoco pronto per essere cucinato. Poi notò la vedova del Prudhan arrivare alla porta e pregare di lasciarle prendere qualche tizzone dal fuoco per cucinare la sua cena.
Balna si rivolse a lei, arrabbiata, e disse:
«Perché non tieni della legna in casa tua invece di venire ogni giorno a prendere la nostra? Sorelle, non date più legna a questa donna; lasciate che se la comperi da sola».
Allora la sorella maggiore rispose:
«Balna, lascia che questa povera donna prenda la legna e il fuoco: non ci fa certo del male».
Ma Balna rispose:
«Se la lasciate venire qui così spesso, forse un giorno ci farà del male e per noi saranno guai».
Poi il Raja vide la vedova del Prudhan andare nel luogo dove la sua cena era stata preparata con cura e, subito dopo aver preso la legna, gettare un po‘di fango in ciascuno dei piatti.
Vedendo questo si arrabbiò molto e ordinò di arrestare la donna e portarla davanti a lui. Ma quando arrivò, la donna gli disse che era ricorsa a questo trucco perché desiderava avere un’udienza con lui e parlò con tanta abilità e astuzia il Raja, anziché punirla, la fece sua Ranee2, e lei venne a vivere a palazzo insieme alla figlia.
Ora la nuova Ranee odiava le sette povere principesse e avrebbe voluto farle finire in mezzo alla strada, in modo che sua figlia potesse avere tutte le loro ricchezze e vivere nel palazzo come principessa al loro posto, e invece di essere loro grata per la gentilezza verso di lei, faceva tutto il possibile per renderle miserabili. Non dava loro da mangiare altro che pane, e anche di questo molto poco, e pochissima acqua da bere, così quelle sette povere principesse, che erano state abituate ad avere tutto a disposizione e buon cibo e bei vestiti per tutta la vita, erano molto miserabili e infelici e avevano l’abitudine di uscire ogni giorno e sedere vicino alla tomba della madre morta, piangendo e dicendo:
«O madre, madre, non vedi le tue poveri figlie, quanto siamo infelici e come siamo ridotte alla fame dalla nostra crudele matrigna?»
Un giorno, mentre stavano così singhiozzando e piangendo, ecco! dalla tomba crebbe uno splendido albero di pomelo, ricoperto pomeli freschi e maturi, e le ragazze poterono saziarsi mangiando quei frutti, e tutti i giorni seguenti, invece di sforzarsi di mangiare la cena disgustosa che la matrigna preparava per loro, andavano alla tomba della madre e mangiavano i pomeli che crescevano su quel meraviglioso albero.
Allora la Ranee disse ala figlia:
«Non riesco a capire, ogni giorno quelle sette ragazze dicono di non volere la cena, e non vogliono mangiare nulla; eppure non dimagriscono mai, né si ammalano; sembra che stiano meglio di te. Non so proprio che dire».
E le ordinò di sorvegliare le sette principesse per vedere se qualcuno dava loro da mangiare.
E così il giorno dopo, quando le principesse si recarono alla tomba della madre, ed erano intente a mangiare i bei pomeli, la figlia del Prudhan le seguì e le vide raccogliere i frutti.
Allora Balna disse alle sorelle:
«Non vedete quella ragazza che ci osserva? Allontaniamola, o nascondiamo i pomeli, altrimenti andrà a dirlo a sua madre, e questo sarà un grosso guaio per noi».
Ma le altre sorelle dissero:
«Oh no, non essere cattiva, Balna. Quella ragazza non sarebbe mai così crudele da dirlo a sua madre. Piuttosto invitiamola ad avvicinarsi e a prendere un frutto».
E chiamandola a loro, le diedero uno dei pomeli.
Non appena l’ebbe mangiato, però, la figlia della Prudhan tornò a casa e disse alla madre:
«Non mi meraviglia che le sette principesse non vogliano la cena che prepari per loro, perché sulla tomba della madre cresce un bellissimo albero di pomelo, e ci vanno ogni giorno a mangiare i pomeli. Ne ho mangiato uno, ed è stato il più squisito che abbia mai assaggiato».
La crudele Ranee fu molto turbata udendo questo e per tutto il giorno successivo rimase nella sua stanza, dicendo al Raja che aveva un mal di testa molto forte.
Il Raja ne fu profondamente addolorato e disse alla moglie:
«Cosa posso fare per te?»
Lei rispose:
«C’è solo una cosa che mi farà passare il mal di testa. Presso la tomba della tua defunta moglie cresce un bell’albero di pomelo; devi portarlo qui, farlo bollire, radici e rami, e mettere un po’ dell’acqua in cui è stato bollito, sulla mia fronte: questo guarirà il mio mal di testa».
Allora il Raja mandò i servi e fece sradicare lo splendido albero di pomelo, poi fece come la Ranee desiderava; e quando una parte dell’acqua in cui era stata bollita la pianta fu messa sulla fronte, lei disse che il mal di testa era sparito e si sentiva abbastanza bene.
Il giorno dopo, quando le sette principesse si recarono come di consueto alla tomba della madre, il pomelo era scomparso. Allora cominciarono tutte a piangere molto amaramente.
Ora presso la tomba delle Ranee c’era una piccola vasca, e mentre piangevano videro che la vasca era piena di una densa sostanza simile alla panna, che s’indurì rapidamente in una compatta torta bianca. Vedendo questo tutte le principesse furono molto contente e mangiarono una parte della torta, che piacque loro molto; e il giorno dopo accadde la stessa cosa, e così continuò per molti giorni. Ogni mattina le principesse si recavano alla tomba della madre e trovavano la piccola vasca piena quel dolce nutriente simile a panna.
Allora la crudele matrigna disse alla figlia:
«Non capisco come sia possibile, ho fatto distruggere il pomelo che cresceva accanto alla tomba delle Ranee, eppure le principesse non dimagriscono, né sembrano più tristi, anche se non mangiano mai la cena che do loro. Non capisco come sia possibile!»
E la figlia disse:
«Controllerò».
Il giorno dopo, mentre le principesse stavano mangiando il dolce di panna, la figlia della matrigna si avvicinò di nuovo. Balna fu la prima a vederla e disse:
«Guardate, sorelle, quella ragazza sta venendo di nuovo qui. Sediamoci attorno al bordo della vasca e non lasciamo che la veda, perché se le diamo un po’ della nostra torta, andrà a dirlo alla madre; e questo sarà un male per noi».
Ma le altre sorelle pensarono che Balna fosse inutilmente sospettosa e, invece di seguire il suo consiglio, diedero alla figlia del Prudhan una parte della torta, e lei tornò a casa e riferì tutto a sua madre.
La Ranee, udendo quanto se la passavano bene le principesse, s’infuriò oltremodo e mandò i suoi servi a demolire la tomba della Ranee morta e a riempire la piccola vasca con le rovine. E non contenta di questo, il giorno dopo finse di essere molto, molto malata, quasi in punto di morte, e quando il Raja, molto addolorato, le chiese se fosse in suo potere procurarle qualche rimedio, gli disse:
«Solo una cosa può salvarmi la vita, ma so che non lo farete».
Lui rispose:
«Sì, qualunque cosa sia, lo farò».
Allora lei disse:
«Per salvarmi la vita dovete uccidere le sette figlie della vostra prima moglie e mettere un po’ del loro sangue sulla mia fronte e sulle palme delle mie mani, e la loro morte sarà la mia vita».
Il Raja fu molto addolorato da queste parole, ma poiché temeva di mancare alla sua parola, uscì con il cuore pesante per trovare le figlie.
Li trovò che piangevano accanto alle rovine della tomba della madre. Poi, sentendo che non poteva ucciderle, il Raja parlò gentilmente con loro e disse loro di andare nella giungla con lui; qui accese un fuoco, cucinò del riso e lo diede loro. Ma nel pomeriggio, essendo molto caldo, le sette principesse si addormentarono tutte, e quando vide che dormivano, il Raja loro padre si allontanò furtivamente e le lasciò (perché temeva sua moglie), dicendo tra sé: “È meglio che le mie povere figlie muoiano qui, piuttosto che siano uccise dalla loro matrigna”.
Poi uccise un cervo e tornò a casa, mise un po‘del suo sangue sulla fronte e le mani delle Ranee, e lei credendo che avesse davvero ucciso le principesse, disse che si sentiva abbastanza bene.
Nel frattempo le sette principesse si svegliarono, e quando si ritrovarono sole nella fitta giungla si spaventarono molto, e cominciarono a gridare il più forte possibile, nella speranza che il padre le udisse; ma lui era ormai lontano, e non avrebbe potuto udirle nemmeno se le loro voci fossero state forti come un tuono.
Accadde che proprio quel giorno i sette giovani figli di un Raja vicino vollero andare a caccia in quella stessa giungla, e mentre tornavano a casa dopo la fine della giornata di caccia, il principe più giovane disse ai fratelli:
«Fermatevi, penso di aver sentito qualcuno piangere e chiamare. Non sentite le voci? Andiamo nella direzione del suono e scopriamo di cosa si tratta».
E così i sette principi attraversarono il bosco fino a raggiungere il luogo in cui le sette principesse sedevano a terra piangendo e torcendosi le mani. Alla loro vista i giovani principi furono molto meravigliati, e lo furono ancora di più quando vennero a sapere la loro storia; e decisero che ciascuno di loro doveva portare a casa con sé una di queste povere e sventurate ragazze, e sposarla.
Così il primo principe, il maggiore in età, portò a casa con sé la maggiore delle principesse e la sposò.
E il secondo prese la seconda.
E il terzo prese la terza.
E il quarto prese la quarta.
E il quinto prese la quinta.
E il sesto prese la sesta.
E il settimo, il più bello di tutti, prese la bella Balna.
E quando arrivarono nella loro terra, ci fu grande gioia in tutto il regno per le nozze dei sette giovani principi con sette principesse così belle.
Circa un anno dopo Balna ebbe un bambino, e i suoi zii e zie erano così affezionati a quel piccino, che era come se avesse sette padri e sette madri. Nessuno degli altri principi e principesse aveva figli, così il figlio del settimo principe e di Balna fu riconosciuto loro erede da tutti gli altri.
Vissero così molto felici per qualche tempo, quando un bel giorno il settimo principe (il marito di Balna) disse che sarebbe andato a caccia, e andò via; lo aspettarono a lungo, ma non fece mai ritorno.
Allora i sei fratelli dissero che sarebbero andati a vedere cosa ne era stato di lui, e se ne andarono; ma anche loro non fecero mai ritorno.
Le sette Principesse erano molto in pena, perché temevano che i loro mariti fossero stati uccisi.
Un giorno, non molto tempo dopo, mentre Balna stava dondolando la culla del bambino e le sorelle stavano lavorando nella stanza sottostante, si presentò alla porta del palazzo un uomo con un lungo abito nero, che disse di essere un fachiro e chiese l’elemosina.
I servi gli dissero:
«Non puoi entrare nel palazzo: i figli del Raja sono tutti andati via, noi pensiamo che siano morti, e le loro vedove non possono essere importunate dal tuo accattonaggio».
Ma egli disse:
«Io sono un uomo santo, tu devi lasciarmi entrare».
Allora quegli sciocchi servi lo lasciarono entrare nel palazzo, ma non sapevano che quello non era un fachiro, ma un mago malvagio di nome Punchkin.
Punchkin girovagò per il palazzo e qui vide molte cose belle, finché giunse infine alla stanza dove Balna sedeva cantando accanto alla culla del suo bambino. Il mago pensò che fosse più bella di tutte le altre cose belle che aveva visto, tanto che le chiese di tornare a casa con lui e di sposarlo.
Ma lei disse:
«Ho paura che mio marito sia morto, ma il mio bambino è ancora abbastanza giovane: io rimarrò qui e gli insegnerò a diventare un uomo intelligente, e quando sarà cresciuto andrà nel mondo e cercherà di raccogliere notizie su suo padre. Il cielo mi vieta di lasciarlo o di sposarti».
A queste parole il mago divenne furioso e la trasformò in un cagnolino nero, e la condusse via dicendo:
«Poiché non vuoi venire con me di tua spontanea volontà, ci penserò io».
E così la povera principessa fu trascinata via, senza poter fuggire o far sapere alle sorelle cosa ne era stato di lei.
Mentre Punchkin attraversava porta del palazzo, i servi gli chiesero:
«Dove hai trovato quel bel cagnolino?»
E lui rispose:
«Una delle principesse me lo ha regalato».
Udendo questo lo lasciarono andare senza fare altre domande.
Poco dopo le altre sei principesse udirono il bambino, il nipote, iniziare a piangere, e quando arrivarono al piano di sopra, furono molto sorprese di trovarlo solo, con Balna che non si vedeva da nessuna parte. Allora interrogarono i servi, e quando vennero a sapere del fachiro e del cagnolino nero, indovinarono cos’era successo e mandarono a cercarli in ogni direzione, ma né il fachiro né il cane furono trovati. Cosa avrebbero potuto fare quelle sei povere donne? Rinunciarono a ogni speranza di rivedere mai i loro dolci mariti, e la sorella, e suo marito, e da quel momento in poi si dedicarono all’educazione e alla cura del nipotino.

Così il tempo passò, fino a quando il figlio di Balna ebbe quattordici anni. Allora un giorno le zie gli raccontarono la storia della famiglia, e il ragazzo, non appena l’ebbe udita, fu colto da un grande desiderio di andare alla ricerca del padre, della madre e degli zii, nella speranza di trovarli vivi per riportarli a casa.
Le zie, venute a sapere della sua determinazione, furono molto allarmate e cercarono di dissuaderlo, dicendo:
«Abbiamo perso i nostri mariti, e nostra sorella e suo marito, e tu ora sei la nostra unica speranza; se te ne vai, cosa faremo?»
Ma egli rispose:
«Vi prego, non disperatevi, tornerò presto, e se sarà possibile porterò con me mio padre e mia madre e i miei zii».
Così partì, ma per alcuni mesi non riuscì a sapere nulla che lo aiutasse nella sua ricerca.
Finalmente, dopo aver percorso faticosamente molte centinaia di chilometri e aver quasi perso la speranza di sapere qualcosa di più dei suoi genitori e degli zii, un giorno arrivò in un paese che sembrava pieno di pietre, rocce e alberi, e qui vide un grande palazzo con un’alta torre, presso la quale c’era la casetta di un Malee.
Mentre stava guardando, la moglie del Malee lo vide, corse fuori di casa e disse:
«Mio caro ragazzo, chi sei tu che osi avventurarsi in questo luogo pericoloso?»
Egli rispose:
«Sono un figlio di Raja, e vengo a cercare mio padre, i miei zii e mia madre che sono stati stregati da un incantatore malvagio».
Allora la moglie del Malee disse:
«Questo paese e questo palazzo appartengono ad un grande incantatore; egli è potentissimo, e se qualcuno lo contraria, può trasformarli in pietre e alberi. Tutte le rocce e gli alberi che vedi qui una volta erano persone viventi, e il mago li ha trasformati in quello che ora sono. Qualche tempo fa venne qui un figlio di Raja, e poco dopo i suoi sei fratelli, che furono tutti trasformati in pietre e alberi; e questi non sono gli unici sfortunati, perché in quella torre vive una bella principessa, che il mago ha tenuto prigioniera lì per dodici anni, perché lo odia e non lo vuole sposare».
Allora il giovane principe pensò: “Devono essere i miei genitori e i miei zii. Finalmente ho trovato quello che cerco”. Così raccontò la sua storia alla moglie del Malee, e la pregò di aiutarlo a rimanere in quel luogo per un po’ e a indagare ulteriormente sulle persone infelici di cui aveva parlato; lei promise che l’avrebbe aiutato e gli consigliò di travestirsi nel timore che il mago lo vedesse e trasformasse anche lui in pietra. Il principe acconsentì. Così la moglie del Malee lo vestì con un sari e finse che fosse sua figlia.
Un giorno, non molto tempo dopo, mentre il mago camminava nel suo giardino, vide la ragazza (così credeva) giocare e le chiese chi fosse.
Gli rispose che era la figlia del Malee, e il mago disse:
«Tu sei una ragazza graziosa, e domani dovrai portare un omaggio floreale da parte mia alla bella signora che vive nella torre».
Il giovane principe fu molto lieto di sentire questo e andò subito a informare la moglie del Malese. Dopo essersi consultato con lei decise che sarebbe stato più sicuro mantenere il suo travestimento e confidare nella possibilità di un’opportunità favorevole per comunicare con sua madre, se fosse stata proprio lei.
Ora era accaduto che al matrimonio di Balna il marito le avesse dato un piccolo anello d’oro su cui era inciso il suo nome, e lei lo avesse messo al dito del figlioletto quando era bambino, e poi quando era più grande le sue zie lo avessero allargato per lui, in modo che fosse ancora in grado di indossarlo. La moglie del Malee gli consigliò di legare il gioiello a uno dei mazzi che avrebbe presentato alla madre e di sperare che lo avrebbe riconosciuto. Non sarebbe stato facile mettere in atto questo piano, vista la stretta sorveglianza sotto cui era tenuta la povera principessa nel timore che potesse mettersi in comunicazione con i suoi amici, che anche se alla presunta figlia del Malee era permesso di portarle i fiori ogni giorno, il mago o uno dei suoi schiavi si trovava sempre nella stanza in quel momento. Ma un giorno finalmente venne l’occasione e, mentre nessuno lo guardava, il ragazzo legò l’anello a un mazzolino di fiori ed erbe e lo gettò ai piedi di Balna. Cadde sul pavimento con un suono squillante, e Balna, cercando di capire cosa lo avesse prodotto, trovò il piccolo anello legato ai fiori. Nel riconoscerlo, credette subito alla storia che il figlio le raccontò sulla lunga ricerca, e lo pregò di consigliarle su cosa fosse meglio fare, ma nello stesso tempo, lo esortò a non mettere in pericolo la sua vita nel tentativo di salvarla. Gli disse che per dodici lunghi anni il mago l’aveva tenuta segregata nella torre perché si era rifiutata di sposarlo, ed era così strettamente sorvegliata che non vedeva alcuna speranza di fuggire.
Ora il figlio di Balna era un ragazzo brillante e intelligente, così disse:
«Non temere, cara madre, la prima cosa da fare è scoprire quanto si estende il potere del mago, in modo da poter liberare mio padre e gli zii, che ha imprigionato sotto forma di rocce e alberi. Gli avete parlato con rabbia per dodici lunghi anni, ora invece parlategli con gentilezza. Ditegli che avete rinunciato a ogni speranza di rivedere il marito che avete pianto così a lungo e che siete disposta a sposarlo. Poi cercate di scoprire da dove deriva il suo potere, e se è immortale o può essere ucciso».
Balna decise di seguire i consigli del figlio e il giorno dopo fece chiamare Punchkin e gli parlò come le aveva suggerito.
Il mago, molto contento, le chiese di permettere che il matrimonio avesse luogo il più presto possibile.
Ma lei gli disse che prima di sposarlo doveva concederle un po’ più di tempo in cui avrebbero potuto conoscersi meglio, e che, dopo essere stati nemici così a lungo, la loro amicizia non avrebbe potuto che rafforzarsi un po’ alla volta.
«E dimmi», chiese, «sei immortale? La morte non ti potrà mai toccare? E sei un mago così grande che non puoi subire la sofferenza umana?»
«Perché me lo domandi?» disse lui.
«Perché» rispose lei, «se dovrò essere tua moglie, dovrò conoscere tutto di te per affrontare o se possibile scongiurare eventuali pericoli che potessero minacciarti».
«È vero», ammise, «non sono come gli altri. Molto molto lontano, a migliaia di chilometri da qui, si trova un paese desolato coperto da una fitta giungla. In mezzo alla giungla cresce un cerchio di palme e al centro del cerchio si ergono sei vasi d’argilla pieni d’acqua, impilati uno sull’altro: sotto il sesto vaso c’è una piccola gabbia che contiene un pappagallino verde; dalla vita del pappagallo dipende la mia; e se il pappagallo viene ucciso devo morire. Tuttavia», aggiunse, «è impossibile che il pappagallo sia ferito o ucciso, perché il paese è inaccessibile e, su mio incarico, molte migliaia di geni circondano le palme e uccidono tutti coloro che si avvicinano a quel luogo».
Balna riferì al figlio ciò che Punchkin aveva detto, ma allo stesso tempo lo supplicò di rinunciare all’idea di ottenere il pappagallo.
Ma il principe replicò:
«Madre, se non riesco a impadronirmi di quel pappagallo, voi, mio padre e gli zii non potrete essere liberati: non abbiate paura, tornerò presto. Intanto intrattenete il mago e cercate di ritardare il matrimonio con lui con vari pretesti, e prima che scopra la causa del ritardo, io sarò di ritorno».
Così dicendo, se ne andò.
Viaggiò con fatica per moltissimi chilometri, finché alla fine giunse in una fitta giungla e, essendo molto stanco, sedette sotto un albero e si addormentò. Fu svegliato da un leggero fruscio e guardandosi intorno vide un grande serpente che si dirigeva verso il nido di un’aquila costruito sull’albero sotto cui era sdraiato, e nel nido c’erano due giovani aquile. Il principe, vedendo il pericolo che correvano i piccoli uccelli, estrasse la spada e uccise il serpente; nello stesso momento si udì nell’aria un forte rumore, e le due aquile adulte, che erano state a caccia di cibo per i loro piccoli, fecero ritorno.
Videro subito il serpente morto e il giovane principe in piedi sopra di esso, e mamma aquila gli disse:
«Caro ragazzo, per molti anni tutti i nostri piccoli sono stati divorati da quel serpente crudele. Ora tu hai salvato le vite dei nostri figli. Perciò ogni volta che avrai bisogno, chiamaci e noi ti aiuteremo; e quanto a queste piccole aquile, prendile con te e permetti che siano tuoi servitori».
Il principe fu molto contento di questo, e le due aquile incrociarono le ali, su cui salì, e lo portarono lontano sulla fitta giungla, fino a giungere nel luogo dove cresceva il cerchio di palme, in mezzo alle quali c’erano i sei vasi pieni d’acqua. Era la metà del giorno, e faceva un gran caldo. Tutt’intorno agli alberi i geni erano quasi addormentati; tuttavia c’erano così tante migliaia di loro, che sarebbe stato impossibile per chiunque attraversare le loro file fino ai vasi, ma le aquile con le loro forti ali trasportarono in volo il principe, che saltò a terra, in un attimo rovesciò i sei vasi pieni d’acqua e, afferrato il piccolo pappagallo verde, lo arrotolò nel suo mantello. Intanto, mentre era di nuovo in volo, tutti i geni sotto di lui si svegliarono e, accortisi che il loro tesoro era stato trafugato, proruppero in un urlo selvaggio e malinconico.
Gli aquilotti volarono fino a quando giunsero alla loro nido sul grande albero.
Allora il principe disse ai genitori:
«Riprendete i vostri piccoli: mi hanno reso un buon servizio; se un giorno avrò bisogno di aiuto, non mancherò di venire da voi».
Continuò poi il suo viaggio a piedi fino ad arrivare di nuovo al palazzo del mago, dove si sedette alla porta e cominciò a giocare con il pappagallo.
Punchkin lo vide, si affrettò verso di lui e disse:
«Ragazzo mio, dove hai preso quel pappagallo? Dallo a me, ti prego».
Ma il principe rispose:
«Oh no, non posso dar via il mio pappagallo, è un mio affezionato animale domestico, ce l’ho da molti anni».
Allora il Mago disse:
«Se è un tuo vecchio amico, posso capire che non lo vuoi regalare, ma dimmi quanto vuoi per venderlo».
«Mio signore», rispose il principe, «non venderò mai il mio pappagallo».
Allora Punchkin ebbe paura e disse:
«Ti darò qualunque cosa, dimmi il prezzo che chiedi e sarà tuo».
Il principe rispose:
«Libera immediatamente i sette figli del Raja che hai trasformato in rocce e alberi».
«Sia come tu desideri», disse il mago, «solo ridarmi il mio pappagallo».
E così dicendo, con un colpo di bacchetta fece riprendere al marito di Balna e ai suoi fratelli le loro forme naturali.
«E adesso ridammi il mio pappagallo», ripeté Punchkin.
«Non così in fretta, mio signore», replicò il principe. «Devo prima chiederti di riportare alla vita tutto ciò che hai imprigionato».
Subito il mago agitò nuovamente la bacchetta, e mentre piangeva con voce implorante: «Dammi il pappagallo!», tutto il giardino riprese repentinamente vita: dove prima c’erano rocce, pietre e alberi, ora c’erano Raja e Punt e Sirdar e uomini potenti su cavalli rampanti e drappelli armati e uomini del seguito.
«Dammi il pappagallo!» gridò Punchkin.
Allora il ragazzo afferrò il pappagallo e gli strappò un’ala, e così facendo il braccio destro del mago cadde.
Allora Punchkin allungò il braccio sinistro gridando: «Dammi il pappagallo!»
Il principe strappò la seconda ala del pappagallo, e il braccio sinistro del mago cadde.
«Dammi il mio pappagallo!» gridò il mago, e cadde in ginocchio.
Il Principe strappò la zampa destra del pappagallo, la gamba destra del mago cadde. Il principe strappò la zampa sinistra del pappagallo, la gamba sinistra del mago cadde.

Di lui non restava che il corpo senza membra e la testa, ma ancora roteava gli occhi e gridava: «Dammi il mio pappagallo!»
«Eccoti il tuo pappagallo!» gridò il ragazzo, e strinse il collo dell’uccello e lo gettò al mago, e non appena ebbe fatto questo, la testa di Punchkin si contorse, e con un terribile gemito morì!
Poi Balna fu accompagnata fuori dalla torre; e lei, il figlio e i sette principi tornarono nel loro paese, e vissero molto felici. E per quanto riguarda tutti gli altri, ciascuno fece ritorno a casa.


NOTE
1 Primo ministro del Visir.
2 Moglie del Raja.

Testo originale e illustrazioni in:
http://www.mainlesson.com/display.php?author=jacobs&book=indian&story=punchkin

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