leggende – IL PESCE PARLANTE

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Leggenda dalla Cina
Tradotta da Dario55

IL PESCE PARLANTE

Molto, molto prima che il vostro bisnonno nascesse, nel villaggio della Felicità Eterna vivevano due uomini di nome Li e Sing. Ora, questi due uomini erano legati da una profonda amicizia e vivevano insieme nella stessa casa. Prima di stabilirsi nel villaggio della Felicità Eterna avevano governato come alti funzionari per più di vent’anni. Avevano spesso trattato la gente in modo molto duro, tanto che tutti, vecchi e giovani, nutrivano per loro una profonda avversione e li odiavano. Eppure, derubando i ricchi mercanti e imbrogliando i poveri, questi due malvagi compagni erano diventati ricchi, e fu per spendere i loro guadagni mal guadagnati in oziosi divertimenti che cercarono il villaggio della Felicità Eterna. «Perché qui», dissero, «possiamo sicuramente trovare quella gioia che ci è stata negata in ogni altro luogo. Qui non saremo più disprezzati dagli uomini e insultati dalle donne».
Di conseguenza questi due uomini comprarono la casa più bella del villaggio, la arredarono nel modo più elegante e decorarono le pareti con pergamene e opere di artisti famosi. Fuori c’erano splendidi giardini pieni di fiori e uccelli e sempre tantissimi alberi con strani rami contorti che crescevano a forma di tigri e altri animali selvatici.
Ogni volta che si sentivano soli Li e Sing invitavano i ricchi del quartiere a venire a cena con loro e, dopo aver mangiato, a volte uscivano e si recavano al laghetto al centro della loro tenuta, remando in una goffa barca a fondo piatto costruita dal falegname del villaggio.
Un giorno, in un’occasione simile, mentre il sole picchiava ferocemente sulle teste rasate di tutti coloro che si trovavano sulla chiatta (perché dovete sapere che questo accadeva molto prima del giorno in cui si indossavano i cappelli, almeno nel villaggio della Felicità Eterna) il signor Li fu improvvisamente colto da una sensazione di vertigine, che peggiorò rapidamente fino a quando non ebbe una febbre cocente.
«Sangue di serpente mescolato a polvere di corno di cervo è la cosa giusta per lui», disse il saggio dottore che fu chiamato, scrutando attentamente Li  attraverso i suoi enormi occhiali. «Assicuratevi», continuò, rivolgendosi al servitore personale di Li e allo stesso tempo facendo schioccare nervosamente le unghie delle dita, «assicuratevi soprattutto, di non lasciarlo solo, perché rischia di impazzire da un momento all’altro, e non posso dire cosa potrebbe fare se non viene sorvegliato attentamente. Un uomo nelle sue condizioni non ha più senno di un bambino».
Ora, sebbene queste parole del dottore lo avessero davvero fatto arrabbiare, il signor Li era troppo malato per rispondere, perché per tutto questo tempo la sua testa era diventata sempre più calda, fino a quando fu sopraffatto da un sonno febbrile. Non appena ebbe chiuso gli occhi, il suo fedele servitore uscì di corsa dalla stanza e raggiunse i suoi compagni per il pasto di mezzogiorno.
Nel frattempo Li si svegliò. Aveva dormito solo dieci minuti. «Acqua, acqua», gemette, «bagnami la testa con acqua fredda. Sono mezzo morto dal dolore».
Ma non ci fu risposta, perché il servitore stava cenando allegramente con i compagni.
«Aria, aria», gemette il signor Li, tirando il colletto della camicia di seta. «Muoio dalla voglia di acqua. Muoio di fame d’aria. Questo caldo rovente mi ucciderà. Fa più caldo di quanto il dio del fuoco stesso abbia mai sognato. Wang! Wang!» battendo debolmente le mani e chiamando il suo servo. «Aria e acqua! Aria e acqua!»
Ma Wang ancora non compariva.
Finalmente, con la forza che si dice provenga dalla disperazione, il signor Li si alzò dal giaciglio e barcollò verso la porta. Una volta uscito, entrò nel cortile lastricato e poi, dopo solo un attimo di esitazione, si fece strada attraverso di esso in uno stretto passaggio che portava al giardino del lago.
«Chi si prende cura di un uomo quando è malato?», mormorava. «Il mio buon amico Sing si sta senza dubbio godendo il suo sonnellino pomeridiano, con un servo pronto a fargli vento e un blocco di ghiaccio vicino alla testa per rinfrescare l’aria. Che gliene importa se muoio di questa febbre furiosa? Senza dubbio si aspetta di ereditare tutti i miei soldi. E i miei servi! Quel mascalzone di Wang è stato con me per dieci anni, vivendo alle mie spalle e diventando sempre più pigro ogni stagione! Che gli importa se muoio? Senza dubbio è sicuro che i servitori di Sing troveranno qualcosa da fare per lui, e lui avrà ancora meno lavoro di quanto ne abbia ora. Acqua! Acqua! Morirò se non troverò presto un posto dove immergermi».
Così dicendo, arrivò alla riva di un piccolo ruscello che scorreva attraverso una chiusa su un lato del giardino e si svuotava nel grande stagno dei pesci. Inginocchiandosi vicino al ruscello Li si bagnò le mani e i polsi nell’acqua fredda. Che meraviglia! Se  fosse stato abbastanza profondo da coprire tutto il suo corpo, quanto sarebbe stato felice di tuffarsi e godersi la beatitudine di quel rinfrescante abbraccio!
Rimase a lungo sdraiato a terra, rallegrandosi di essere sfuggito dalle grinfie del medico. Poi, quando la febbre cominciò a salire di nuovo, si alzò con un grido deciso: «Che cosa sto aspettando? Lo farò. Non c’è nessuno a impedirmelo, e mi farà un mondo di bene. Mi getterò a capofitto nello stagno dei pesci. Non è abbastanza profondo vicino alla riva per affogarmi, se dovessi essere troppo debole per nuotare, e sono sicuro che mi restituirà forza e salute».
Si affrettò lungo il ruscello, quasi correndo per il desiderio di raggiungere l’acqua più profonda dello stagno.
Con un ultimo sospiro di soddisfazione Li si buttò tutto vestito nelle tranquille acque dello stagno dei pesci. Li era cresciuto nella provincia di Fukien, in riva al mare, ed era un abile nuotatore. S’immergeva e sguazzava con il massimo piacere, poi galleggiava sulla superficie.
«Mi sembra di tornare bambino», esclamava. «Perché, oh perché, non va di moda nuotare? Mi piacerebbe vivere sempre nell’acqua, eppure alcuni dei miei connazionali hanno più paura di quanta ne ha un gatto di bagnarsi le zampe. Quanto a me, darei qualsiasi cosa per restare qui per sempre».
«Lo faresti, eh?» ridacchiò una voce roca proprio sotto di lui, seguita da una specie di suono ansimante e una forte risata. Il signor Li saltò come se una freccia lo avesse colpito, ma quando vide il mostriciattolo brutto e grasso sotto di lui, la sua paura si trasformò in rabbia.
«Ma guarda un po’! Ti sembra il modo di rivolgerti a qualcuno per la prima volta? Non sai cosa dicono i Classici su una simile maleducazione?»
Il pesce gigante rise ancora più forte. «Credi che abbia tempo per i Classici? Mi fai ridere fino a farmi piangere!»
«Ma devi rispondere alla mia domanda», gridò il signor Li, sempre più incalzante, dimenticando che non stava processando un malcapitato colpevole per un reato di poco conto. «Perché hai riso? Parla, amico, sbrigati!»
«Ebbene, siccome sei così impertinente», disse l’altro tra le risa, «te lo dirò. È perché voi goffe creature, che vi definite uomini, gli esseri più civilizzati del mondo, pensate sempre di aver capito perfettamente una cosa quando avete sì e no scoperto come si fa».
«Stai parlando dei nani dell’isola, i giapponesi», lo interruppe il signor Li, «noi cinesi raramente ci impegniamo a fare qualcosa di nuovo».
«Ma sentitelo!», ridacchiò il pesce. «Ora, immagina di voler rimanere in acqua per sempre! Che ne sai tu dell’acqua? Non ti sei nemmeno procurato l’attrezzatura adatta per nuotare. Cosa potresti fare se vivessi davvero qui per sempre?»
«E cosa sto facendo adesso?» farfugliò il signor Li, così arrabbiato da inghiottire una boccata d’acqua prima di accorgersene.
«Sguazzi», replicò l’altro.
«Non vedi che nuoto? Quei tuoi grandi occhi sono di vetro?»
«Sì, ti vedo benissimo» rispose il pesce, «è proprio così! Ti vedo fin troppo bene! Facevi capriole goffo come un bufalo d’acqua che sguazza in una pozzanghera di fango!»
Ora, dato che il signor Li si era sempre considerato un esperto di sport acquatici, era ormai senza parole per la rabbia, e tutto quello che poteva fare era “remare” debolmente con colpi abbastanza forti da non affondare.
«Inoltre», continuò il pesce, sempre più calmo mentre l’altro perdeva sempre più la pazienza, «hai una pessima disposizione per respirare. Se non sbaglio, in fondo a questo stagno ti ritroveresti peggio di quanto mi troverei io in cima a una palma. Cosa faresti per non morire di fame? Credi che ti converrebbe tornare a terra ogni volta che vuoi mangiare un boccone? Eppure, essendo un uomo, dubito seriamente che ti accontenteresti di mangiare il cibo che mangiano i pesci. Non hai quasi nessuna caratteristica che ti servirebbe, neppure se ti iscrivessi a una scuola d’immersione. Guarda anche i tuoi vestiti: tutti inzuppati d’acqua e appesantiti. Pensi che siano adatti a proteggerti dal freddo e dai malanni? La natura si è dimenticata di darti le squame. Adesso ti racconterò una storiella divertente, quindi così sono sicuro che riderai. I pesci sono sempre giudicati dalle loro squame. Dato che non hai una sola squama, come ti giudicherà la gente? Capisci la questione? La natura ti ha fornito una pelle, ma ha dimenticato il rivestimento esterno, tranne forse all’estremità delle dita delle mani e dei piedi… Sicuramente ormai avrai capito perché considero la tua idea ridicola».
Nonostante il recente e grave attacco di febbre, il signor Li ormai si era completamente raffreddato. Non si era mai reso conto prima di quali fossero i grandi svantaggi legati all’essere uomo. Perché non approfittare di questa conoscenza casuale, scoprire dal pesce il modo per liberarsi di quella miserabile condizione chiamata “umana” e ottenere le soddisfazioni che solo un pesce può avere?
«Allora, sei davvero contento della tua sorte?» chiese infine il signor Li. «Non ci sono momenti in cui preferiresti essere un uomo?»
«Io, un uomo!» tuonò l’altro, sferzando l’acqua con la coda. «Come osi suggerire un cambiamento così vergognoso! Forse perché non conosci il mio grado? Perché, amico mio, tu vedi in me il nipote preferito del re!»
«Allora piaccia a Vostra Signoria», disse il signor Li, con dolcezza, «voler dire una parola gentile per me al suo padrone. Credete sia possibile che egli possa trasformarmi in un pesce e accettarmi come suddito?»
«Certo», rispose l’altro, «al re tutto è possibile. Non sai che il mio sovrano è un leale discendente del grande drago d’acqua e, come tale, non può mai morire, ma vive ancora e ancora e ancora, per sempre e sempre e sempre, come la casa regnante del Giappone?»
«Oh, oh!» ansimò il signor Li, «nemmeno il Figlio del Cielo, il nostro venerato Imperatore, può vantare così lunghi anni. Sì, darei la mia fortuna per essere un seguace del vostro imperiale padrone«.
«Allora seguimi», rise l’altro, partendo a una velocità che fece sibilare e ribollire l’acqua per tre metri intorno a lui.
Il signor Li si sforzò invano di tenergli dietro. Se si era creduto un buon nuotatore, ora si rendeva conto del suo errore, e ogni briciolo di orgoglio che gli rimaneva era ridotto in briciole.
«Per favore, aspetta!», esclamò gentilmente. «Ti prego, ricordati che sono solo un uomo!»
«Scusami», rispose l’altro, «è stato stupido da parte mia dimenticarlo, soprattutto perché ne avevo appena parlato».
Ben presto raggiunsero un’insenatura riparata sul lato più lontano dello stagno. Qui il signor Li vide una carpa gigantesca che galleggiava pigramente in una pozza poco profonda e poi muoveva a scatti pigramente l’enorme coda o sbatteva orgogliosamente le pinne da un lato all’altro. I cortigiani sfrecciavano qua e là, pronti a esaudire il minimo desiderio del padrone. Uno di loro, splendidamente vestito di scarlatto reale, annunciò piegando la testa verso il basso l’avvicinarsi del nipote del re che stava conducendo il signor Li a un’udienza con Sua Maestà.
«Chi hai qui, ragazzo mio?» esordì il sovrano, mentre il nipote, esitando a parlare per spiegare la sua strana richiesta, muoveva nervosamente le pinne avanti e indietro. «In questi giorni, mi pare, hai una strana compagnia».
«È solo un pover uomo, mio regale signore», rispose l’altro, «che implora vostra Altezza di concedergli il vostro grazioso favore».
«Quando un uomo chiede il favore di un pesce,
È difficile penetrare il suo desiderio…
Spesso cerca un piatto raffinato
Da servire sulla sua tavola»,
recitò il re, sorridendo.
«E dunque, nipote, pensi che questo tizio sia davvero incline alla pace o piuttosto non venga in mezzo a noi come una spia?»
Prima che il suo amico potesse rispondere, il signor Li si era gettato in ginocchio nell’acqua bassa davanti alla nobile carpa e si era inchinato tre volte, fino a quando il suo viso non si era sporcato del fango sul fondo della pozza.
«In verità, Vostra Maestà, io sono solo un povero mortale che cerca la vostra gentile grazia. Se solo acconsentiste ad accogliermi nella vostra scuola di pesci, sarei per sempre il vostro ardente ammiratore e il vostro umile schiavo».
«In verità, sembra che tu parli molto seriamente», osservò il re, dopo un attimo di riflessione, «e sebbene la richiesta sia forse la più strana che io abbia mai ascoltato, non vedo davvero alcun motivo per cui non dovrei esaudirti. Ma prima fammi il piacere: smettila di inchinarti. Stai sollevando tanto di quel fango che basterebbe a intonacare il palazzo reale di uno squalo».
Il povero Li, arrossendo per il rimprovero del monarca, attese pazientemente la risposta alla sua richiesta.
«Molto bene, e sia», esclamò il re d’impulso, «il tuo desiderio è esaudito. Barone Trota», disse, rivolgendosi a uno dei suoi cortigiani, «porta qui una pelle di pesce della misura giusta per questo nostro amico ambizioso».
Detto e fatto. La pelle di pesce fu infilata sulla testa del signor Li, e tutto il suo corpo fu ben presto nascosto in quel cappotto squamoso. Solo le braccia rimasero scoperte. In un batter d’occhio Li sentì dolori acuti in ogni parte del corpo. Le braccia cominciarono a raggrinzirsi e le mani cambiarono forma poco a poco fino a trasformarsi in un eccellente paio di pinne, buone quanto quelle del re stesso. Le gambe e i piedi cominciarono improvvisamente ad attaccarsi insieme finché, per quanto si contorcesse, Li non riuscì a separarli. “Ah, ha!” pensò, “d’ora in poi niente più corse e calci: ora le mie dita dei piedi sono diventate una splendida coda”.
«Non così in fretta», rise il re, mentre Li, dopo essersi profuso in ringraziamenti, cominciò a provare le sue pinne nuove, «non così in fretta, amico mio. Prima che tu parta, forse è meglio che ti dia un piccolo consiglio amichevole, altrimenti i tuoi nuovi poteri ti faranno finire sull’amo di un pescatore fortunato, e ti ritroverai servito come preda di pesca nello stagno».
«Sarò ben lieto di ascoltare il consiglio di Vostra Signoria, perché le vostre parole al suo umile schiavo sono come perle davanti alle lumache. Tuttavia, essendo stato anch’io un uomo, credo di capire i semplici trucchi usati per catturare noi pesci, e sono quindi in grado di evitare i guai».
«Non esserne così sicuro. “Una carpa affamata incappa spesso nei pericoli”, come ha osservato acutamente uno dei nostri saggi. Ci sono due precauzioni che vorrei farti imparare. Prima di tutto, mai e poi mai mangiare un verme penzolante: per quanto possa sembrare allettante, dentro ci sono sicuramente degli orribili ami. In secondo luogo, nuota sempre come un fulmine se vedi una rete, ma nella direzione opposta. E ora ti farò imbandire il primo pasto dalla dispensa reale, ma poi dovrai procurarti il cibo per conto tuo, come ogni altro cittadino del mondo acquatico che si rispetti».
Dopo che Li ebbe mangiato delle lumache, seguite da un succulento verme per dessert, e dopo aver ringraziato ancora una volta il re e il nipote del re per la loro gentilezza, iniziò a mettere alla prova la coda e le pinne. All’inizio non fu facile muoverle correttamente. Sbattere una volta la coda con la stessa energia con cui era abituato a muovere le gambe, lo mandava a volteggiare in acqua tutto intorno come una trottola vivente, e quando contorceva le pinne, sempre leggermente, come credeva, si ritrovava disteso sulla schiena in modo ridicolo per un dignitoso abitante del mondo dei pesci. Occorsero molte ore di pratica costante per ottenere il giusto colpo di coda e di pinne, poi si accorse di potersi muovere senza fare il minimo sforzo. Era la cosa più facile che avesse mai fatto in vita sua e… oh! l’acqua era così fresca e deliziosa! «Vorrei potermi godere quella vita senza fine di cui scrivono i poeti», mormorava beatamente.
Trascorsero molte ore, finché alla fine Li fu costretto ad ammettere che, sebbene non fosse stanco, era certamente affamato. Come trovare qualcosa da mangiare? Oh! ma perché non aveva fatto qualche semplice domanda al simpatico nipote del re? Con quanta facilità sua signoria avrebbe potuto indicargli il modo per trovare una buona colazione! Ma ahimè! senza un consiglio del genere, sarebbe stato un compito ben arduo. Nuotò avanti e indietro, in acque ferme e profonde, lungo la riva fangosa, giù, giù fino al fondo ghiaioso, sempre alla ricerca di un verme tentatore. Si tuffò tra le erbacce e si infilò tra le ninfee. Tutto inutile! Non una mosca o un verme di nessun genere a rallegrare i suoi occhi desiderosi! Trascorse lentamente un’altra ora, e intanto la sua fame diventava sempre più grande. Il dio pesce, il possente drago, non gli avrebbe concesso nemmeno un piccolo boccone per calmare i crampi del suo stomaco, tanto più che, ora che era un pesce, non poteva neppure stringere la cinghia, come fanno i soldati affamati quando sono in marcia forzata.
Proprio quando Li cominciava a pensare di non poter muovere la coda un istante di più, e che presto, molto presto, si sarebbe sentito scivolare, scivolare, giù giù sul fondo dello stagno per morire, in quel preciso istante, tentando di alzare lo sguardo, vide – oh gioia! – un delizioso verme rosso penzolante qualche centimetro sopra il suo naso. Quella vista infuse nuova forza alle pinne e alla coda stanche. Un altro minuto, e avrebbe avuto in bocca quel delicato boccone, quando ahimè! gli tornarono alla mente i consigli che gli aveva dato il giorno prima il grande Re Carpa: “Non importa quanto sembri allettante, dentro ci sono sicuramente degli orribili ami!”. Per un istante Li esitò. Il verme fluttuava vicinissimo alla sua bocca semiaperta. Che tentazione! Dopo tutto, cos’era un amo per un pesce quando stava morendo? Perché essere un codardo? Forse quel verme era un’eccezione alla regola, o forse… forse non importa cosa! Da un pesce in una situazione così difficile come quella del signor Li non ci si poteva aspettare che seguisse i consigli, anche i consigli di un vero Re.
Pop! Ce l’aveva in bocca. Oh, che bocconcino morbido, degno del palato di un re! Ora poteva ridersene delle parole di saggezza, e mangiare tutto ciò che gli capitava davanti agli occhi. Ma, puah! Cos’era quella strana sensazione che… Ahi! era l’amo fatale!
Con un frenetico scatto e un centinaio di contorsioni e giravolte il povero Li cercò di allontanarsi dalla crudele spina che gli si era conficcata così all’improvviso nel palato. Era ormai troppo tardi per desiderare di essersi tenuto lontano dalle tentazioni. Meglio essere morti di fame sul fondo del fresco stagno che essere trascinati fuori da un miserabile pescatore alla luce e al sole del mondo frenetico. Si avvicinava sempre di più alla superficie. Più si sforzava, più la spina crudele gli penetrava nel palato. Poi, con un ultimo schizzo, si trovò a penzolare a mezz’aria, dondolando impotente alla fine di una lunga lenza. Con un tonfo cadde in una barca a fondo piatto, direttamente sopra parecchi pesci più piccoli.
«Ah, una carpa!» urlò con gioia una voce ben nota, «il pesce più grande che ho catturato in queste tre lune Che fortuna!»
Era la voce del vecchio Chang, il pescatore che aveva rifornito la tavola del signor Li fin dall’arrivo di quel funzionario nel villaggio della Felicità Eterna. Solo una parola di spiegazione, e lui, Li, sarebbe stato di nuovo libero di nuotare dove voleva. E poi non ci sarebbero più stati ami per lui. Un pesce fuggito teme l’amo.
«Ehi, Chang», cominciò con il respiro affannoso, «devi subito ributtarmi in acqua, perché io sono il signor Li, il tuo vecchio padrone, non lo vedi? Dai, sbrigati. Per questa volta sei scusato, perché ovviamente non avevi modo di saperlo. Presto!»
Ma Chang con un forte strattone estrasse l’amo dalla bocca di Li e guardò pigramente verso il mucchio di pesci luccicanti, gongolando sulle sue prede e chiedendosi quanti soldi avrebbe potuto chiedere. Non aveva sentito nulla di quello che aveva detto Li, perché Chang era sordo fin da bambino.
«Presto presto, muoio dalla voglia di aria», gemette il povero Li, e poi, con un gemito, si ricordò della menomazione del pescatore.
Intanto erano arrivati a riva, e Li, insieme ai suoi poveri compagni, si trovò improvvisamente gettato in un cesto di vimini. Oh, gli orrori di quel viaggio sulla terraferma! Solo un po’ d’acqua era rimasta in quel recipiente strettamente intrecciato. Era tutto ciò che aveva per respirare.
O gioia delle gioie! Sulla porta di casa sua vide il suo buon amico Sing appena uscito.
«Ehi, Sing», gridò a squarciagola, «aiuto, aiuto! Questo figlio di una tartaruga vuole uccidermi. Mi ha gettato dentro con questi pesci e non sa che io sono Li, il suo padrone. Ordinagli gentilmente di portarmi allo stagno e di ributtarmi dentro, perché lì è fresco e mi piace molto di più la vita acquatica che quella sulla terraferma».
Li si fermò per ascoltare la risposta di Sing, ma non arrivò nemmeno una parola.
«Imploro vostro onore di dare un’occhiata alla mia preda», disse il vecchio Chang a Sing. «Ecco il miglior pesce della stagione. L’ho portato qui affinché voi e il mio onorato padrone, il signor Li, possiate goderne. La carpa è la sua prelibatezza preferita».
«Molto gentile da parte tua, mio buon Chang, ne sono certo, ma temo che il povero signor Li non mangerà pesce per un po’ di tempo. Ha un brutto attacco di febbre».
«È qui che si sbaglia!» gridò Li dal cestino, saltando con tutte le sue forze, per attirare l’attenzione, «Morirò di freddo. Non riconosci il tuo vecchio amico? Aiutami a uscire da questo guaio e potrai avere tutto il mio denaro per il tuo disturbo».
«Ehi, cos’è questo?», domandò Sing, attratto come sempre dalla parola “denaro”. «Per l’ombra di Confucio! Sembra che la carpa stia parlando».
«Cosa, un pesce parlante?» rise Chang. «Mio padrone, ho vissuto quasi sessant’anni e un pesce così non mi è mai capitato di vederlo. Ci sono uccelli parlanti e bestie parlanti, se è per questo; ma pesci parlanti, chi ha mai udito di una simile meraviglia? No, credo che le tue orecchie ti abbiano ingannato, ma questa carpa farà sicuramente parlare quando la porterò in cucina. Sono sicuro che il cuoco non ne ha mai vista una così. Oh, padrone! Spero che avrete fame quando vi siederete davanti a questo pesce. Che peccato che il signor Li non possa aiutarvi a divorarlo!»
«Aiutarlo a divorarmi, eh?», borbottò il povero Li, ormai quasi morto per mancanza d’acqua. «Dovete avermi preso per un cannibale, o un altro selvaggio del genere».
Intanto il vecchio Chang aveva fatto il giro della casa fino agli alloggi della servitù e, dopo aver chiamato il cuoco, aveva tenuto il povero Li per la coda perché potesse esaminarlo.
Con un potente strattone Li si liberò e cadde ai piedi del suo fedele cuoco.
«Salvami, salvami!» gridava disperato. «Questo miserabile Chang è sordo e non sa che io sono il signor Li, il suo padrone». La mia voce da pesce non è abbastanza forte per il suo udito. Riportami allo stagno e liberami. Avrai una pensione a vita, indosserai begli abiti e mangerai buon cibo per il resto dei tuoi giorni. Ti basta ascoltami e obbedire! Ascolta, mio caro cuoco, ascolta!»
«Questo pesce sembra parlare», mormorò il cuoco, «ma simili meraviglie non possono esistere. Solo le vecchie ignoranti o gli stranieri crederebbero che un pesce possa parlare». E afferrando il suo ex padrone per la coda, lo fece dondolare su un tavolo, prese un coltello e cominciò ad affilarlo su una pietra.
«Oh, oh!» urlò Li, «mi infilzerai con un coltello! Raschierai le mie belle squame lucenti! Strapperai le mie belle pinne nuove! Ucciderai il tuo vecchio padrone!».
«Bene, non parlerai ancora a lungo» ringhiò il cuoco, «Ti mostrerò paio di trucchi con la lama».
Così dicendo, con una spinta gigantesca, affondò il coltello in profondità nel corpo della vittima tremante.
Con un grido stridulo di orrore e disperazione, il signor Li si svegliò dal sonno profondo in cui era caduto. La febbre era sparita, ma si trovò a tremare di paura al pensiero della terribile morte che gli era toccata nel mondo dei sogni.
«Grazie a Buddha, non sono un pesce», gridò con gioia, «e ora starò abbastanza bene per godermi la festa a cui il signor Sing ha invitato gli ospiti di domani. Ma purtroppo, ora che posso mangiarla, la carpa del vecchio pescatore è tornata a essere me stesso.
Se solo il bene dei nostri sogni si avverasse,
Non mi dispiacerebbe sognare tutto il giorno”.


FONTE: Testo originale.

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